
Alessia Pifferi con l’avvocata Alessia Pontenani
Milano, 08 maggio 2025 – In sei sono accusati di favoreggiamento, false dichiarazioni all'autorità giudiziaria, falsa testimonianza, falso in atto pubblico e falso commesso da incaricati di pubblico servizio. E per questo potrebbero andare a processo. Si tratta dell’inchiesta bis sulle psicologhe di Alessia Pifferi, la donna condannata all'ergastolo per l'omicidio della figlia Diana, lasciata morire di stenti a 18 mesi. Il pm Francesco Tommasi, del Tribunale di Milano, ha chiesto il rinvio a giudizio per sei persone.
La richiesta di rinvio a giudizio
La conclusione delle indagini preliminari vede coinvolte l'avvocato della 39enne, Alessia Pontenani, il consulente psichiatrico della difesa, Marco Garbarini, le psicologhe del carcere San Vittore, Paola Guerzoni e Letizia Marazzi, e altre due professioniste, Federica Martinetti, Maria Fiorella Gazale con l'accusa di aver contribuito a sviare le indagini e il processo aiutando Alessia Pifferi a fingere di essere "affetta da un deficit mentale tra grave e gravissimo" per ottenere la perizia psichiatrica che le permettesse di evitare la pena dell'ergastolo. Diversa la posizione di un'altra professionista inizialmente indagata, V.N., che ha chiesto di accedere alla messa alla prova ed è uscita dal procedimento. Quando era una tirocinante, in servizio nel carcere di San Vittore, avrebbe effettuato i corsi di Educazione Continua in Medicina (Ecm), attività di formazione a cui sono tenuti i professionisti sanitari, al posto della sua tutor, una delle storiche psicologhe del penitenziario ora coinvolte nel “caso Pifferi”.
Le accuse della Procura
L’accusa, messa nero su bianco dal pm Francesco De Tommasi nell’avviso di chiusura indagini, è quella di aver messo in atto un “piano precostituito” per aiutare la 39enne Alessia Pifferi - in quel periodo era a processo per aver lasciato morire di stenti la figlia di 18 mesi, Diana, nel luglio 2022 - a far credere al perito nominato dalla Corte d’Assise che era “affetta da un ritardo mentale grave” e almeno “parzialmente incapace di intendere e volere”.
Non solo, quindi, una presunta attività di “manipolazione”, anche attraverso un test falsificato, a cui avrebbero preso parte alcune psicologhe nel carcere di San Vittore, ma anche accuse che riguardano il presunto tentativo della difesa di pilotare l’accertamento super partes. Per l’accusa, l’avvocata Pontenani e il suo consulente, “oltrepassando i limiti di legge” avrebbero messo in atto un “piano” per evitare che Pifferi venisse condannata all’ergastolo. Cosa che è comunque avvenuta, dopo il riconoscimento nella perizia della piena capacità di intendere e volere. È ora in corso il processo di secondo grado, e si attendono gli esiti di una nuova perizia psichiatrica disposta dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano.
Tornando al filone sull’operato delle psicologhe, che ora non lavorano più in carcere, agli atti ci sono diverse intercettazioni. Nelle carte pure le dichiarazioni di Tiziana Morandi, la cosiddetta “mantide della Brianza” che era in carcere con Pifferi. Ha raccontato al pm che l’avvocata avrebbe detto spesso “alla Pifferi” che “lei doveva fare la scema”. La Procura in questa inchiesta, che aveva sollevato forti proteste degli avvocati per gli accertamenti sulla loro collega, aveva già messo in rilievo l’uso del “test di Wais”, arrivando poi a contestare ipotesi di falso sulla consulenza.