Brescia - Nessuna rivalutazione psichiatrica dei tre. Nessuna attenuante, né un trattamento differenziato. Solo ergastolo, di nuovo. Sentenza confermata in secondo grado per gli assassini di Laura Ziliani, la 55enne ex vigilessa di Temù che 8 maggio 2020 fu narcotizzata da una dose massiccia di bezodiazepine infilate in un muffin, strozzata a mani nude, infine sotterrata in biancheria intima lungo il greto del fiume Oglio, così da simulare un incontro erotico finito male. Le figlie Paola e Silvia Zani, 29 e 21 anni, e l’ex fidanzato di entrambe, il sopranista Mirto Milani, 29, ieri si sono visti ribadire il fine pena mai dalla Corte d’assise d’appello - presidente Claudio Mazza - uscita dopo due ore e mezza di camera di consiglio.
“Speravamo in un’altra perizia psichiatrica” si è lasciato sfuggire lasciando l’aula rapidamente con la delusione stampata in volto uno dei difensori di quello che è passato alle cronache come il “trio criminale”. Tutti a occhi bassi. Mirto in maglioncino azzurro e consueto codino, Silvia in verde scuro, non molto diversa dal settembre 2021, quando entrò in carcere. Paola invece cambiata, i lunghi capelli da scuri, oggi biondissimi.
Strette di mano e sorrisi al contrario tra i parenti della vittima - gli unici presenti come sempre erano i fratelli Massimo e Michele Ziliani, ma si erano costituiti parte civile anche l’anziana madre Marisa e la terza figlia Lucia, che soffre di un lieve ritardo mentale -: "È una sentenza giusta - ha detto tirando un sospiro di sollievo l’avvocato Piergiorgio Vittorini, che rimane in attesa della pronuncia della Corte in merito alla richiesta di sequestro conservativo dei beni delle sorelle -: per la fragilità di Lucia e perché è stato ristabilito come si sono svolti davvero i fatti. Lucia si è trovata di colpo orfana. E l’idea della madre che aveva progettato di uccidere le sorelle e il fidanzato si è capito che era abnorme e inventata, un ulteriore conferma dell’intensità del dolo”.
L’udienza ieri si era aperta con l’arringa dell’avvocato Michele Cesari, che assiste Paola, il quale al pari delle colleghe, Stefania Prestipino e Maria Pia Longaretti, aveva chiesto una rinnovazione di perizia e puntava alle attenuanti. "È indispensabile capire come Paola sia passata dall’indecisione a uccidere la madre»” La più giovane del trio la pianificazione del delitto l’avrebbe subita. “Non poteva non esserci anche lei, le ripeteva la sorella, mentre Mirto (fidanzato anche di Silvia, ndr) le ribadiva che era la sua seconda moglie. La sua è stata una modalità adesivo mimetica. È stata inglobata in quel mondo chiuso, impermeabile all’esterno, che veniva tenuto lontano, e che si innestava sulle sue difficoltà personali subentrate dopo la morte del padre. Paola era particolarmente disadattata, aveva una fragilità estrema - ha sottolineato Cesari-. Il movente economico riesumato dal procuratore generale ritengo non esista. Paola ha vissuto cinque anni di infelicità. Silvia la guidava, Mirto, che le faceva anche da psicologo ed era l‘unica figura maschile nella sua vita, ci ha messo il carico. E aveva solo 19 anni. Al tempo stesso è stata definita dai consulenti di un’intelligenza spiccatissima, con un quoziente superiore al 97% di quello della popolazione. Paola però non è una persona in grado di rapportarsi con il mondo, non sa gestire le situazioni. In carcere ha avuto un adattamento eccezionale. Sta meglio lì che all’esterno. Si è iscritta all’università, fa attività varie, ha iniziato a lavorare. L’ergastolo non è la pena per una ragazza che ha vissuto una vita disastrosa fino a 17 anni".
Il pg Domenico Chiaro ha invece replicato che “non c’è in questo processo una pagina che autorizzi una graduazione dei ruoli. La fase finale del delitto è una rappresentazione plastica di questo assunto, tutti ci hanno messo la mano. Tutti al momento dello strangolamento di Laura Ziliani c’erano. C’era chi la teneva, chi le metteva le mani al collo, chi le infilava il sacchetto in testa, chi ha apposto la mano in via definitiva. Difficilmente si può concepire un concorso materiale più di questo. L’ergastolo è l’unica via per la memoria della vittima”. E i giudici hanno concordato. Motivazioni tra 90 giorni.