
Le figlie Silvia e Paola Zani
Brescia – Tutti e tre portano gli occhiali. Mirto Milani chiuso in una felpa blu, il solito codino, appare un po’ appesantito. Silvia Zani porta una camiciola bianca. La sorella Paola indossa una giacca di pelle, ha leggermente schiarito i capelli raccolti in uno chignon. Davanti alla Corte d’Assise di Brescia, presieduta da Claudio Mazza, è la prima udienza del processo di secondo grado per l’omicidio di Laura Ziliani e la soppressione del suo cadavere, sepolto lungo il greto del fiume Oglio.

È la sera del 7 maggio del 2021. L’ultima sera di vita della 52enne ex vigilessa di Temù. La si ritiene scomparsa la mattina dell’8 maggio durante una passeggiata in montagna. Invece è stata uccisa, strozzata a mani nude. Sono all’ergastolo Silvia e Paola Zani, figlie di Laura, e Mirto Milani, fidanzato di Silvia ma legato anche a Paola. “Devono essere condannati all’ergastolo. Per il rispetto a Laura Ziliani, che non c’è più, che è stata uccisa dalle figlie. Per rispetto alla povera Lucia che c’è, ma è rimasta sola con le sue disabilità. Questa donna viene ricordata ingiustamente come quella che avrebbe tentato di uccidere le figlie. La conferma dell’ergastolo renderà giustizia alla povera Ziliani”.
Dopo questo esordio all’avvocato dello Stato Domenico Chiaro è sufficiente meno di un’ora per chiedere che venga ribadita la condanna al carcere a vita fine pena mai. “È stato un omicidio lungamente premeditato e commesso con atrocità. Quando strangoli una persona ti rendi perfettamente conto di quanto sta accadendo”. Il rappresentante dell’accusa procede per punti. Una nuova perizia psichiatrica chiesta dalle difese. Non è necessaria: il consulente della difesa potrebbe solo ripetere quanto già accertato dal perito della Corte di primo grado.

La mancata assoluzione per il reato di lesioni. Il 16 aprile del 2021 Laura Ziliani sorbisce una tisana nella quale sono state sciolte benzodiazepine. Rimane intontita per due giorni, non si regge in piedi. “Non c’è dubbio che sussista il reato di lesioni”, conclude Chiaro. La soppressione del cadavere. “Fatte apposta due buche perché la prima non sembrava abbastanza profonda. Il cadavere ritrovato dopo tre mesi grazie all’esondazione del fiume. Altrimenti si sarebbe dovuto fare il processo senza il ritrovamento del corpo della Ziliani”.
La premeditazione. “Nella mia non breve esperienza raramente ho visto un caso di omicidio talmente premeditato”. “Le due ragazze hanno accusato falsamente la madre di volerle uccidere. E hanno premeditato l’omicidio procurandosi malta e tute da imbianchini, scavando ben due buche per seppellire il cadavere. Silvia e Mirto hanno avuto anche il tempo di convincere Paola a partecipare al piano”. Avere agito in danno dell’ascendente. “Le ragazze sono figlie della povera uccisa. È assolutamente irrilevante che le persone non si frequentassero e non fossero in buoni rapporti. Madre è e madre resta”. Le attenuanti generiche. Impossibile considerarle anche solo equivalenti alle due aggravanti da ergastolo contestate. Il movente. “Un chiaro movente economico”. Anche le case vecchie e malandate si possono vendere o affittare se sono in una zona turistica come Temù. Le confessioni. “Spontanee. Se Mirto non avesse confessato al compagno di cella, oggi non saremmo qua”.