
Cittadii peruviani festeggiano l'elezione del nuovo pontefice. Sotto, il vescovo Giorgio Barbetta e papa Prevost
Berbenno (Sondrio) - Si conoscono da tempo. L’allora monsignor Robert Francis Prevost era presente alla sua ordinazione episcopale, l’11 febbraio 2020 in Perù, nella cattedrale di Huarí, sede della Diocesi. Si erano pure già accordati per vedersi a Roma, dopo il Conclave, una volta eletto il successore di Francesco.
E invece, vescovo Giorgio Barbetta – lei valtellinese di Berbenno, 53 anni, le radici nell’Operazione Mato Grosso, prete dal 1998, missionario in Perù dal 2001, e poi vescovo – l’amico Robert Francis Prevost l’ha visto in tv.
“Sono rimasto basito, poi commosso, vedevo i suoi occhi pieni di lacrime e quel tremore dentro cui c’era la piccolezza dell’uomo di fronte a un compito che è un compito di Dio”.
Quanto l’ha stupita questa elezione?
“In realtà mi ripetevo che sarebbe stata una scelta possibile e buona, ma poi mi trovavo a scacciare il pensiero. Mi pareva un’enormità, ancora adesso tremo per lui. Il fatto che comunque sul suo nome si sia trovato un accordo così velocemente dimostra che nella sua persona si sono visti, concentrati, più aspetti che ne fanno il giusto Papa”.
Com’è il ‘collega’ vescovo che lei ha conosciuto negli anni in Perù?
“Ci si vedeva almeno due volte l’anno, in occasione delle riunioni della Conferenza episcopale di cui monsignor Prevost fu vicepresidente. I vescovi sono una quarantina, si stava insieme, si parlava, lui è sempre stato molto stimato, era il nostro canonista preferito, quando avevamo qualche dubbio ci rivolgevamo a lui. Mi accompagnò alcune volte a Roma e lo ringrazio per come e quanto mi ha saputo ascoltare anche in momenti difficili. È una persona molto bella”.
Nel suo primo discorso Papa Leone XIV ha mandato un saluto al “suo“ Perù in spagnolo.
“Ho apprezzato molto. Ieri ha parlato anche in inglese. Non si pensi che rinneghi le sue radici, ma il Papa è un missionario, il suo cuore – ed è così anche per me – è in Perù, il Perù è casa sua. Parlare in castigliano è ricordare quella che è stata per tanti anni la sua vita”.
Si è chiesto che Papa sarà monsignor Prevost?
“Non cambierà come persona, è un uomo di dialogo che, per come ho avuto modo di conoscerlo, non si impone per imporsi, ma solo e soltanto se serve per difendere qualcosa. Ha parlato di ponti, l’abbiamo ascoltato, ecco, lui è stesso è uomo di unione”.
Quanto influirà nel suo pontificato l’essere missionario?
“In queste ore mi stanno arrivando video di monsignor Prevost di ogni tipo, ce n’è uno dove sta in acqua con gli stivaloni per aiutare degli alluvionati. Lo disse anche papa Francesco: dalla periferia hai un’altra visione delle cose, esci dai tuoi schemi, cambiare posti apre la mente e consente di capire che cosa davvero sia importante”.
Papa Leone XIV conobbe anche padre Hugo De Censi, originario come lei di Berbenno e fondatore dell’Operazione Mato Grosso.
“Sì, si conobbero e monsignor Prevost rimase colpito e interessato. Padre Hugo andò più volte a parlare ai vescovi riuniti nella Conferenza episcopale peruviana, ho addirittura il sospetto che l’allora vescovo venne alla mia ordinazione soprattutto per vedere lui, credo che fosse incuriosito dal carisma di padre Hugo. Io stesso del resto, dopo mesi nelle sue missioni, lasciai i miei studi in Medicina per entrare in seminario”.
Che parole userebbe per descrivere il nuovo Papa?
“Un buono timido, della timidezza dell’intelligenza, dell’umiltà. Non un foglio di grana grossa, ma un foglio sottilissimo che può ben essere mosso dal Signore”.
Il vostro incontro romano da giovedì sera si è fatto però decisamente più complicato.
“Tornerò in Perù il 26 maggio, ma prima scenderò a Roma e sicuramente il 18 sarò alla Messa di intronizzazione. Spero di riuscire almeno a salutarlo”.