DARIO CRIPPA
Cronaca

Addio all’antico vivaio, chiude Chiaravalli: “Il mio bisnonno e il sogno di quattro generazioni”

Un’attività diventata punto di riferimento per gli appassionati della natura e un pezzo di storia di Monza. Il messaggio e i ricordi di Davide Chiaravalli

Il vivaio di via Gondar è aperto ormai solo per vendere le ultime piante

Il vivaio di via Gondar è aperto ormai solo per vendere le ultime piante

Monza – Via Gondar 26, estrema periferia di Monza, e del quartiere San Biagio, vecchia Zeguina. Biglietto: “Io Chiaravalli Davide, dopo cinquant’anni di lavoro nel vivaio di famiglia cesserò l’attività quotidiana di vendita per motivo di età e di salute… continuerò ad occuparmi di agrumi, la mia passione... Ringrazio chi per tanti anni ha avuto il piacere di frequentare il vivaio”. Fine delle trasmissioni per un pezzo di storia di Monza. Il cartello, appeso sul cancello di una delle più antiche cascine della città, racconta la fine di un’avventura che ha accompagnato intere generazioni. Un vivaio che offriva fiori, piante, ma anche consigli e proposte culturali ed educative per la scuola e gli appassionati di natura. Coi suoi asinelli e caprette beniamini dei bambini. Tutto era iniziato più di un secolo fa. “Il mio bisnonno, Gaetano Vimercati, era un contadino - racconta Davide Chiaravalli -. Era il fattore della Cascina Sant’Anna di Casatenovo, oggi diroccata, per un nobiluomo di Monza di cui conservo ancora la lettera di ringraziamento per il lungo operato al suo servizio, scritta il giorno in cui decise di abbandonare la sua vecchia vita e di provare a fare da solo”.

A spingerlo, una grande novità arrivata a rivoluzionare la vita dei contadini: il canale Villoresi, una condotta d’acqua artificiale completata nel 1890 con lo scopo di deviare le acque del fiume Ticino per irrigare la pianura lombarda. Gaetano Vimercati si fa ingolosire: finalmente c’è tanta acqua a disposizione “per innaffiare una terra che sino ad allora era stata coltivata soprattutto a vite e gelso”. E dunque “il mio bisnonno decise che era giunto il momento dedicarsi a quello che sapeva fare meglio, coltivare verdura: pomodori, rapanelli, insalata, fagiolini, patate”.

È il 1896 quando acquista un terreno a un tiro di schioppo dal canale. Si chiama “MariaMattia”, “probabilmente il proprietario (il “Tremolada fu Mattia riportato nell’atto di vendita”) lo ha intitolato al nome dei suoi genitori, o forse era anche particolarmente devoto alla Madonna.E il nome Chiaravalli? “La figlia di mio bisnonno sposò un Chiaravalli, un sarto che proveniva da Varese, e la cascina prese il suo nome. Anche se la linea contadina della famiglia fu sempre quella materna”. E poi? “Mio papà Savino, finita la guerra, assieme alla sorella e al fratello dette particolare sviluppo all’attività: la nostra verdura era una delle più apprezzate al mercato ortofrutticolo di Monza e veniva venduta anche al mercato all’ingrosso di Milano. Ricordo ancora quando da bambino andavo sul carro assieme a lui a portarla al mercato di Monza, dove arrivavano tanti espositori da tutta la Brianza. E noi eravamo sempre in prima fila. Avevamo roba bella, premiata ai concorsi”.

Tutto è destinato a cambiare piano piano. Il vecchio mondo dell’ortofrutta va in crisi, la popolazione e i suoi gusti cambiano, a soprattutto le modalità di distribuzione e di vendita. Anche il mercato di Monza ne fa le spese. Davide Chiaravalli ha un ricordo stampato in testa. “Un mese di agosto mio padre non era riuscito a vendere nulla ma gli dispiaceva buttare via tutto quel ‘ben di dio’. E allora decise di andare a San Biagio e regalare il suo carico di verdura. All’inizio la gente diffidente non ci credeva, ma quando capì cosa stava accadendo il nostro furgone fu letteralmente preso d’assalto. Avevo 12 o 13 anni e stava cambiando tutto”.

Nel 1965 la svolta. “Mio padre prese una decisione: avrebbe realizzato una serra in cui vendere piante e fiori”. È quella che da decenni conoscevano tutti i Monzesi: il vivaio Chiaravalli. E che ora chiude: “Ho 72 anni e l’anno scorso ho dovuto sottopormi a un trapianto di rene e alla dialisi. Ricordo ancora bene: il 27 luglio ero in ospedale e il 4 settembre ero al lavoro con i miei agrumi. Ma mi sono reso conto che non potevo più fare grossi sforzi fisici. Nasco geometra, ho dedicato tutta la mia vita al vivaio creato da mio padre, ho tre figli ma non so cosa decideranno di fare…”.

Qualcosa ha seminato: un figlio è giardiniere, una figlia Odessa ha un laboratorio floreale. Si vedrà: io comunque continuerò con gli agrumi, non li abbandono, sono la mia passione. Ci sono ville storiche in Brianza ma anche fuori, come a Santa Margherita Ligure, dove mi chiamano a curarli e potarli. Ci sono tanti agrumi abbandonati nelle ville e nelle grandi residenze storiche sparse su questo territorio. Un vero peccato. Perché mi piaciono gli agrumi? Sono bellissimi, alla Villa Reale ce ne sono migliaia di specie e ho contribuito a farli riscoprire. Tranne pochi appassionati, nemmeno si sapeva che esistessero”.