
Marco Fraceti, fondatore e presidente dell’Osservatorio antimafia di Monza e Brianza
MONZA – La ’ndrangheta sotto casa. A febbraio si scopriva che al Centro Civico di via Tazzoli 29 aveva il suo alloggio come custode e un magazzino un esponente di spicco delle cosche. Assunto dalla cooperativa Monza 2000, che si occupa del reinserimento dei detenuti, stava terminando di scontare una condanna per associazione a delinquere di stampo mafioso in quanto “appartenente alla feroce organizzazione criminale facente capo al boss Franco Coco Trovato”. Eppure, secondo la Direzione distrettuale antimafia e i carabinieri del Nucleo investigativo di Milano, da quel magazzino faceva transitare decine di chili di droga.
Sul caso si era espresso Marco Fraceti, presidente dell’Osservatorio Antimafie di Monza e Brianza intitolato a Peppino Impastato. “A Monza, insieme a Cinisello Balsamo e Trezzano Rosa, c’erano i magazzini per una rete di spaccio per tutta la Lombardia. Dall’ordinanza emerge con chiarezza la totale libertà e discrezionalità di questo personaggio, senza che nessuno, per almeno due anni, si sia accorto di nulla. Da tempo sia il Comitato San Fruttuoso Bene Comune e la Consulta di Quartiere 9 hanno segnalato all’amministrazione comunale la gestione dubbia del Centro Sociale... sarebbe utile e necessario un commissariamento della gestione del centro e una commissione comunale che possa verificare tutte le problematiche aperte...”.
Così il 28 febbraio. E adesso riparte all’attacco, con un comunicato sulfureo intitolato “Comune reticente e omertoso”.

“A metà marzo la consulta di San Fruttuoso ha deciso di inviare in comune una email con tutta una serie di domande specifiche sulla situazione nel centro sociale di via Tazzoli”. Domande molto precise: “perché una persona condannata in via definitiva (Cassazione) a più di sei anni di carcere per associazione mafiosa (quindi per uno dei reati più gravi e pericolosi perché di tipo associativo) ha potuto lavorare e risiedere nel Centro Sociale, fino a far diventare un locale del Centro il deposito principale per lo smercio di droga all’ingrosso? Come è potuto accadere tutto ciò, in una sede del Centro Sociale comunale? Chi aveva l’obbligo di controllare il reinserimento lavorativo di questa persona e il suo effettivo operato e perché, evidentemente, non lo ha fatto?”.
E infine: “Quali misure l’Amministrazione Comunale ha preso in seguito a questi fatti?” Dopo mesi di silenzio, l’Osservatorio rincara: “rinnoviamo la richiesta ai vertici del comune e alla cooperativa di rispondere a queste legittime domande”. Perché il silenzio non solo e sintomo di grave reticenza, ma diventa, se reiterato, un comportamento omertoso e complice”.