DARIO CRIPPA
Cronaca

Orrore a Macherio, l’analisi della psicologa: "Ora aiutiamo i figli di Geraldine. Rischiano uno stress come i reduci di guerra"

Femminicidio della donna peruviana strangolata dall’ex , la dottoressa Elena Ritratti: “Un trauma clinico terribile, serve il supporto di uno specialista. Sensi di colpa, rabbia e odio, l’età evolutiva è una fase fragilissima”

Dopo il femminicidio di Geraldine, la donna peruviana strangolata dall’ex "Un trauma clinico terribile, serve il supporto di uno specialista. Sensi di colpa, rabbia e odio, l’età evolutiva è una fase fragilissima". .

Dopo il femminicidio di Geraldine, la donna peruviana strangolata dall’ex "Un trauma clinico terribile, serve il supporto di uno specialista. Sensi di colpa, rabbia e odio, l’età evolutiva è una fase fragilissima". .

Macherio (Monza e Brianza) – Geraldine era andata a oltre diecimila chilometri di distanza pur di sfuggire a quell’uomo e per proteggere i suoi figli. "Aveva abbandonato il suo Paese di origine, il Perù, dimostrando grande coraggio". Eppure è caduta nelle mani del suo ex compagno e padre dei suoi figli. "I casi di femminicidio purtroppo sono in aumento, in tutto il mondo. In Italia del 13 per cento, di cui il 39 a opera del proprio partner, presente o passato. Ce ne stiamo accorgendo anche in Italia, ma solo dal 2013 è stata approvata una Legge che riconosce questo genere di reato. Quella povera ragazza era stata molto coraggiosa, ma adesso occorre occuparsi dei suoi figli. Perché loro ora sono le vittime e non vanno lasciate sole". L’omicidio – anzi il femminicidio – accaduto martedì sera a Macherio non può che suscitare un’analisi e un campanello d’allarme. A rifletterci è Elena Ritratti, psicologa, criminologa con significativa esperienza anche nei carceri, volontaria al centro psico sociale di Monza. Geraldine Nuñez Sanchez Yadana, 33 anni, peruviana, è finita vittima di una trappola mortale tesale dal suo ex compagno, il connazionale Alexander Vilcherres Quilla, 33 anni pure lui. Che l’ha seguita in Italia e martedì l’ha attesa al rientro dal lavoro per trascinarla in un edificio abbandonato e strangolarla. 

A dare per primi l’allarme, preoccupati, erano stati i suoi stessi figli, che non vedevano rientrare a casa la mamma alla solita ora: due ragazzini di 17 e 13 anni. Ora le vittime sono loro?

"Il 65 per cento delle donne vittime di femminicidio ha figli. Che restano anche dopo la tragedia ma di cui spesso si rischia di dimenticarsi. Li chiamano “bambini speciali”. Perché anche a distanza di anni possono presentare esigenze speciali. Perché se la perdita dei genitori è un fatto naturale e inevitabile, dover subire questa esperienza in età così giovane e in maniera tanto traumatica non lo è. La loro mamma si era trasferita dalla sua terra di origine proprio per proteggerli e ha pagato la sua scelta con la vita".

Un macigno anche per i figli.

"Alla loro età si attraversa una fase già molto critica, il passaggio dall’infanzia all’adolescenza fino all’età adulta e ora si ritroveranno a fare i conti con l’essersi visti strappare la madre in circostanze tanto tragiche"

Tra l’altro dal loro stesso padre.

"Un trauma clinico vero e proprio. È quello che si chiama disturbo da stress post traumatico".

Come sperimentato dai soldati in guerra.

"Per quei ragazzi il rischio è proprio questo".

Cosa potrebbe accadere?

"I disturbi possono essere variegati: flashback ricorrenti, incubi, ricordi intrusivi, uno stato di ipervigilanza, stati di irritabilità, difficoltà di concentrazione, regressione allo stadio infantile. Ansia, rabbia, sensi di colpa, pensieri negativi e addirittura suicidiari… la fragilità di un minore è enorme".

Il figlio maggiore si è reso conto che qualcosa non andava quando telefonando alla madre gli ha risposto inaspettatamente il papà.

"Un’esperienza terribile, su cui potrebbe interrogarsi per tutta la vita".

Ora di loro si occuperanno verosimilmente i familiari della mamma.

"Anche loro avranno bisogno di aiuto, si apriranno le pratiche di affido, ci sono conflitti interiori che rischiano di minare la stabilità delle stesse famiglie. Occorre prestare attenzione affinché non si indulga anche sui media a una sensazionalizzazione dell’evento traumatico, altrimenti si corrono rischi come la ri-vittimizzazione, che assieme alla vittimizzazione secondaria di chi ha subìto un reato sono sempre in agguato in casi simili. Ricordiamo che in questo caso la vittima aveva tentato di tutto per sfuggire al comportamento maltrattante di un uomo che la picchiava regolarmente, una donna che lavorava duramente pur di guadagnare la propria autonomia e assicurare il benessere ai figli: non è da tutti".

Ora restano due orfani.

"Sono le vere vittime invisibili di in queste vicende, non vanno dimenticate: lo ripeto".

Cosa fare?

"Serve un aiuto psicologico e sociale adeguato e tempestivo. Come se si avesse a che fare con le vittime di un terremoto: si chiama psicologia d’emergenza, fatta da operatori specializzati nel riconoscere ad esempio i segnali di allarme. Un supporto a lungo termine, non basteranno poche sedute, bisogna disinnescare pensieri negativi, specie in casi in cui il carnefice è anche il padre dei ragazzi. Attraverseranno sentimenti contrastanti e servirà uno psicologo specializzato nell’età evolutiva".

Torniamo al femminicidio.

"Bisogna restituire dignità alle donne. Perché senza arrivare a casi estremi, ci sono ancora troppi casi di violenza nei loro confronti, da quella fisica come le percosse fino alla violenza sessuale. Ma ci sono anche la violenza economica, quando ad esempio il maltrattante priva dei mezzi necessari la propria partner per tenerla sotto controllo e impedirle di autodeterminarsi. Fino a quella psicologica e lo stalking vero e proprio. Nel caso di Macherio i figli sono vittime di una violenza assistita, che si configura quando il minore è costretto ad assistere alla violenza nei confronti della propria mamma. O, anche se non vede, ne viene comunque a conoscenza. Anche quando la mamma, nel tentativo di proteggerle i figli, tenta di mascherare cosa sta patendo".