
Erika Ferini Strambi e le ricerche dei carabinieri nei campi a Pantigliate, dove è stato trovato il corpo
Milano – Il cadavere semisvestito. Una scarpa ancora agganciata a un piede, l’altra sfilata e ritrovata a pochi centimetri. Un piccolo fazzoletto di terra libera in mezzo alle piante di mais, forse un luogo dove appartarsi lontano da occhi indiscreti. Una scena che lascia pensare agli investigatori che Erika Ferini Strambi non sia arrivata da sola nelle campagne di Pantigliate e che proprio in quel punto sia morta subito dopo la sparizione, non si sa ancora come e se per mano di qualcuno che ha incontrato lungo la strada.
In attesa che l’autopsia sveli dettagli che il corpo in stato di decomposizione ha nascosto all’ispezione del medico legale, i carabinieri stanno passando al setaccio le ultime ore della cinquantatreenne milanese, che si muoveva sì con l’ausilio di stampelle ma che era autosufficiente e guidava senza difficoltà la Mini Cooper (con abitacolo e pedaliera riadattati alle sue esigenze e al fisico minuto).
La donna, che lavorava nell’area risorse umane di Luxottica, ha trascorso la serata del 5 luglio nel ristorante inGordo di Segrate. Stando alle testimonianze, è andata via dal locale un quarto d’ora prima dell’una del 6: aveva bevuto alcuni drink, ma ha rifiutato gentilmente la proposta di un conoscente di accompagnarla a casa.
In realtà, Erika non è andata verso l’abitazione in zona piazzale Cuoco: i due varchi contatarghe di Segrate e Peschiera Borromeo che hanno censito il passaggio della macchina attorno all’una rivelano che si è diretta da tutt’altra parte, verso Pantigliate; in entrambi i fotogrammi, si vede che la cinquantatreenne era da sola.
Quindi, il possibile incontro con una persona ancora da identificare (non risulta che Erika avesse un fidanzato né frequentazioni stabili) sarebbe andato in scena in un secondo momento, ma comunque in un arco temporale breve: la sensazione di chi indaga è che tutto sia accaduto nel giro di un’ora e che la donna sia deceduta già nella notte tra il 5 e il 6.
A insospettire i militari della Compagnia Monforte, che il 7 hanno verbalizzato la denuncia di scomparsa presentata dal padre (che la figlia non sentiva di frequente), sono stati i 200 metri tra il punto in cui è stato scoperto il corpo, nel primo pomeriggio di tre giorni fa, e quello in cui è stata trovata l’auto, per metà in un fosso con gli sportelli chiusi e le chiavi nel cruscotto.
Ammesso che Erika sia riuscita a coprire quella distanza dopo aver avuto un incidente, nonostante le difficoltà di deambulazione e il terreno fangoso, resta una domanda: perché si è inoltrata nel sentiero al buio invece di percorrere la strada al contrario? E poi c’è un altro interrogativo: detto che non avrebbe potuto chiedere aiuto nella vicina pensione per cani, raggiungibile solo da un ponticello fatiscente di cui sono rimasti in piedi sono i corrimano, perché non ha usato il cellulare? Gli accertamenti dicono che era funzionante: ha agganciato la cella più vicina fino alla mattina del 7.
Al momento, il telefono non è stato trovato, così come manca all’appello la borsa di tela: i carabinieri chiederanno al Comune di tagliare le piante in due aree delimitate, vicino al corpo e vicino alla Mini. La presenza dei due oggetti nel primo punto darebbe un’ulteriore conferma all’ipotesi che Erika sia morta nel luogo in cui è stato scoperto il corpo. E a quel punto troverebbe forza pure un’altra supposizione: la macchina è stata spostata in seguito e abbandonata nel fosso in un maldestro tentativo di sviare le indagini o dopo una manovra errata.