
Il trapper Jordan Tinti, in arte Jordan Jeffries Baby, aveva 26 anni
"Il carcere è diventato un discarica sociale. Jordan non era un Santo, ma non era nemmeno un Diavolo. Lo dico e lo ribadirò ogni volta che ne avrò l’occasione: non meritava di finire così". Roberto Tinti è un uomo a pezzi. Il 12 marzo 2024, suo figlio Jordan, 26 anni, rinchiuso in carcere per una rapina che poi in fondo non era nemmeno una rapina, è stato trovato morto in cella. Ufficialmente suicida. Anche se qualche dubbio papà lo ha ancora. Tanto è vero che c’è un inchiesta per omicidio colposo in corso, assistito dall’avvocato Federico Edoardo Pisani. Intanto giovedì al Tribunale di Pavia è stato assolto, con formula dubitativa, il compagno di cella di Jordan, che il ragazzo aveva accusato di abusi sessuali nei suoi confronti (confermati da altri detenuti e due guardie). "Sono amareggiato - dice papà Roberto - quando usciranno le motivazioni della sentenza fra 90 giorni faremo appello. Anche se la mia condizione non cambia: mio figlio non c’è più. Ho ricominciato a vivere e a lavorare, ma nei momenti di solitudine il pensiero di Jordan torna ad affacciarsi ogni volta". Una vita complicata, quella di Jordan: abbandonato da piccolo, cresciuto dal padre, era diventato trapper di discreto successo con lo pseudonimo Jordan Jeffries Baby ma aveva anche cominciato a fare uso di stupefacenti, sregolatezze, piccoli reati. "Ma quel giorno di agosto di due anni fa in cui fu arrestato alla stazione ferroviaria di Carnate si era limitato a filmare quanto stava facendo il suo collega Gianmarco Fagà (detto Traffik). Che aveva strappato la bicicletta a un immigrato e l’aveva gettata sui binari. Jordan si era limitato a spostarla perché temeva che qualcuno si facesse male. Ma non c’era stata nessuna rapina, tanto che Fagà venne condannato per appropriazione indebita e insulti". Si disse che erano insulti a sfondo razziale, “Vogliamo ammazzarti perché sei nero“. "Quando andai a incontrare Jordan in cella glielo chiesi subito: “come è possibile?“. E lui ha negato tutto. Il razzismo non gli era mai appartenuto, aveva amici stranieri e sua madre era di origine sinti". Dopo l’arresto di Jordan, la sua detenzione a Monza, poi lo spostamento a Pavia per le minacce ricevute dagli altri detenuti per la nomea di razzista. E l’arrivo a Pavia. "In una sezione di massima sicurezza in cui è morto. Se avesse avuto un cognome importante, non sarebbe finita così e sarebbe tornato a casa. Invece si chiamava soltanto Jordan Tinti ed è stato abbandonato". E adesso? "A luglio stiamo organizzando una partita di calcio, a Bernareggio, con tutti i suoi amici, lo vogliamo ricordare per quello che era davvero".