
I dipendenti della ex Bames hanno seguito tutte le fasi del processo
Vimercate (Monza Brianza) – Gli ex lavoratori della Bames, ex Ibm poi Celestica, fiore all'occhiello della Silicon Valley brianzola e finita invece per chiudere i battenti nel 2013 lasciando a casa 850 dipendenti, si oppongono all'ipotesi che il fallimento possa venire cancellato dal colpo di spugna della prescrizione. "Quella della Bames non è stata solo una bancarotta, è stato dimostrato che alcune somme sono state distratte in modo fraudolento. Quindi chiediamo la conferma della sentenza di condanna del Tribunale di Monza", hanno sostenuto le parti civili al processo in corso davanti alla Corte di Appello di Milano, dove a chiedere la prescrizione è stata la Procura generale, sulla base di un accordo con alcuni dei sei condannati in primo grado con sentenza del Tribunale di Monza per bancarotta fraudolenta.

Un'accusa che potrebbe venire modificata in quella meno grave di bancarotta semplice, che ormai è caduta in prescrizione. Come già era successo in appello ai figli di Vittorio Romano Bartolini, Selene e Massimo, condannati in primo grado a 4 anni e 8 mesi, che poi hanno ottenuto la prescrizione per bancarotta semplice. Verrebbero quindi annullate le pene inflitte dai giudici monzesi dopo un lustro di udienze: 8 anni all'anziano patron Vittorio Romano Bartolini, 6 anni al manager omonimo Giuseppe Bartolini, 4 anni e mezzo all'ex presidente di Celestica Italia Luca Bertazzini e al membro del collegio sindacale Riccardo Toscano, 4 anni e 3 anni e 8 mesi ai colleghi Salvatore Giugni e Angelo Interdonato.
Il Tribunale aveva disposto una provvisionale di 5 milioni di euro sul risarcimento dei danni alla curatela del fallimento e 5mila euro di danni morali ciascuno ai 63 ex lavoratori parti civili. Somme che la pronuncia di prescrizione di fatto annullerebbe. La Procura di Monza aveva chiesto condanne fino a quasi 10 anni parlando di "distrazioni dolose". Sotto accusa un contratto di lease back e un finanziamento con cui Bames ha ottenuto circa 87 milioni di euro. Denaro che, secondo la pubblica accusa, era servito per acquistare partecipazioni in altre società e per finanziare altre aziende del Gruppo. La difesa degli imputati sostiene che l'obiettivo era quello di ricollocare i dipendenti con un piano di reindustrializzazione condiviso con tutte le parti sociali che poi invece è naufragato a causa delle peggiorate condizioni del mercato del lavoro. Si torna in aula ad ottobre.