
La scrittrice francese è in Italia per presentare il suo ultimo romanzo
MILANO – Considerando l’interesse massmediatico per la British royal family, sfogliamo subito “Ann d’Inghilterra“ (presentazione domani alle 18 al CinéMagenta63), romanzo-verità ben congegnato per Adelphi dalla parigina Julia Deck. Incominciamo però a chiarire, Ann non è una regina.
Il giudizio che vi si si legge su Casa Windsor è impietoso, perché?
“Si dice che derubano il popolo, non aprono mai un libro, si vestono male. Ed Elisabetta II, compianta all’incoronazione perché costretta a diventare una mantenuta, si è limitata a portare a termine un destino predestinato. Molto più modesta, la vita della mia Ann”.
La incontriamo ottantacinquenne colpita da emorragia cerebrale, nel 2022 per 6 mesi e otto giorni in un ospedale parigino. Più interessante la vecchiaia di un’europea qualunque?
“Lei attraversa ceti sociali diversi durante la Seconda Guerra Mondiale, il periodo postbellico, gli anni Sessanta, la Parigi dei Settanta, l’Inghilterra della Thatcher, gli sconvolgimenti dell’Europa fino a oggi. In questa prospettiva, la sua vita appare molto più avventurosa”.
O la vecchiaia è l’argomento che un romanziere oggi giudica più adeguato a rappresentare un’Europa inesorabilmente vecchia?
“La vecchiaia fa paura a tutti, riguarda il corpo di ciascuno. Ma il romanzo deve affrontare anche temi scomodi, per addomesticarli. La vecchiaia non è altro che ancora vita, in una forma diversa”.
Ann, la madre, e Julia, la figlia, sono vere, giusto? Anche se ne storpia i nomi, sono veri anche i luoghi di cura parigini descritti? Positiva l’esperienza durante il ricovero di sua madre?
“Sì, cerco di essere fedele agli eventi che ho vissuto. Nel libro, l’esperienza non è molto positiva. Il servizio di urgenza pratica la selezione dei pazienti in base alle loro speranze di vita, secondo dati statistici. Ann, quasi senza nessuna possibilità di sopravvivere, migliora perché ama follemente la vita”.
Nel mondo islamico i bimaristan, o luoghi dei malati, vantavano fontane, giardini, porticati per passeggiare nell’ombra, musicisti ingaggiati a suonare, nella convinzione che un ambiente accogliente fa star meglio. Nell’Occidente contemporaneo l’architettura dà il colpo di grazia?
“Riconosco grande disparità tra i servizi sanitari in Europa, tra città e campagna. Ma in generale la nostra epoca dimentica che non si guarisce allo stesso modo in un luogo accogliente e in luogo fatiscente, e alla fine le persone curate male costano moltissimo alla società”.
Lettrici e lettori troveranno certa riflessa, nel suo personale racconto, una loro personale vicenda. Ma rassicuriamo tutti che al diario della malattia si alternano anche argomenti briosi...
“Ann, ‘la straniera’, inglese che sceglie di vivere in Francia, resta sempre curiosa di tutto, capace di cogliere la felicità anche nelle piccole cose. Nonostante una dolorosa lesione subita da ragazzina in famiglia”.
Facilmente immaginabile. Ma lasciamo a chi legge il piacere d’investigare, di condividere la quête sul mistero legato alla nascita di una bambina. La storia comunque finisce bene, con un ‘miracolo’. In senso trascendentale?
“Mi sembra che il caso e la volontà sono altrettanti capaci dei miracoli delle divinità”.
La romanziera riconosce che la vita ha più fantasia?
“Mi lasci riconoscere l’immaginazione degli scienziati che hanno voluto sorpassare i limiti delle cose note, contribuendo a costruire il mondo dove viviamo”.