DIEGO VINCENTI
Cultura e Spettacoli

Un romanzo storico alla Rinascente: “Le mie tuse tra Manzoni e Zola. E una Milano che realizzava i sogni”

Giacinta Cavagna di Gualdana racconta il suo nuovo libro: dalla fabbrica al centro commerciale. “Amo raccontare la città da punti di vista inediti. Storie corali fondate su ricostruzioni fedeli dell’epoca”

Giacinta Cavagna di Gualdana sulle leggendarie scale mobili della Rinascente (foto Federica Borgato)

Giacinta Cavagna di Gualdana sulle leggendarie scale mobili della Rinascente (foto Federica Borgato)

Milano, 4 settembre 2025 – Un simbolo. Per alcuni un luogo cult. Certo un pezzettino inconfondibile della nostra geografia urbana: La Rinascente. Un secolo e mezzo insieme. E se si guarda bene dietro alle vetrine, si scopre un baule carico di storie e di volti, di inciampi e di sogni.

Come racconta Giacinta Cavagna di Gualdana in ‘Un milione di scale. Le ragazze della Rinascente’, dal 23 settembre in libreria per Neri Pozza. Romanzo che incuriosisce. Specie dopo il bel successo del precedente ‘La fabbrica delle tuse’, che si concentrava invece sulla Zaini. Dalle operaie alle sarte (e commesse). Perché lo sguardo rimane femminile plurale. Intrecciando i fili di generazioni distanti. Nella cornice della Milano a cavallo del Novecento.

Giacinta, perché La Rinascente?

“Con “La fabbrica delle tuse“ ho capito che mi piace raccontare Milano da punti di vista inediti, attraverso romanzi storici dal respiro corale. Ho quindi cercato una vicenda per lavorare in questa direzione. E mi sono presto resa conto che La Rinascente mi avrebbe permesso di tornare a parlare della città sviluppando un ampio arco temporale”.

Si inizia nell’Ottocento.

“Dalla fine del XIX secolo agli anni ’50. Una storia ricchissima di eventi su cui costruisco l’intreccio delle mie protagoniste”.

Com’era all’epoca la società milanese?

“Si respirava nelle strade un certo spirito imprenditoriale, con quella euforia che seguì la rivoluzione industriale e che trovò piena concretezza nell’Esposizione Internazionale di Milano del 1906. Una parabola che condivido attraverso lo sguardo delle ragazze ma anche raccontando i sogni delle grandi famiglie, dai Bocconi ai Borletti”.

C’è poi quel nome che però arriva prima dell’incendio del 1918.

“Esattamente! Come se il palazzo avesse seguito una strada già delineata. È una storia poco conosciuta o che spesso csi dimentica, ma il nome che scelse D’Annunzio arrivò pochi mesi prima della distruzione”.

Un po’ gatto nero il Vate.

“Diciamo che è stato come se ci fosse un destino scritto dentro”.

Quanto è importante lo sguardo al femminile?

“Ci tengo molto e faccio in modo che sia sempre uno sguardo garbato, sulla città e sulla storia. Mi piaceva poi ricreare uno spirito di squadra che credo sia molto evidente fra le tuse, qui attraverso un gruppo di ragazze qualunque che rimangono legate insieme da un sogno, quello fatto dalla nonna Bice. È lei a far partire tutto, umile sarta figlia di un magazziniere”.

Quali sono i suoi modelli?

“Leggo moltissimi romanzi storici, “I Promessi Sposi“ rimane nume tutelare per valore, ampiezza, intreccio. In questo caso però ho ripreso in mano un altro classico, “Al paradiso delle signore“ di Émile Zola, che mi interessava per la meticolosa ricostruzione del secondo 800”.

Quanto è importante il rapporto col pubblico?

“Cerco le persone già al momento della stesura del libro, le loro storie, i loro legami con le vicende. Presentando il libro precedente mi è capitato di conoscere vere tuse che avevano lavorato alla Zaini. Il rapporto personale diventa quindi fondamentale. Ed è anche il momento dello stupore, visto che mi accorgo concretamente di non essere letta solo da amici e parenti”.

Perché il romanzo storico?

“Sono laureta in storia dell’arte contemporanea, ho lavorato in visite guidate e come assistente all’università. Mi sono accorta che la scrittura mi piaceva quando la Newton Compton mi ha chiesto di scrivere alcuni testi legati a Milano. Da lì è nato il desiderio di provarmi con un romanzo ma non mi sentivo mai pronta. A un certo punto però ho chiuso gli occhi e mi sono buttata, cercando subito grande fedeltà nella ricostruzione storica che facesse da sfondo alla creazione di personaggi immaginari”.

Vede ancora quello spirito imprenditoriale a Milano?

“Credo che in tanti abbiano una visione, qualcosa nel dna. Forse, al di là del periodo, è diventato più complicato realizzare il sogno, anche dal punto di vista burocratico. Difficile oggi far nascere La Rinascente partendo da un negozietto, come fecero invece i Bocconi”.