
Chiello
Milano – Prima ti chiedi quale genitore nel pieno delle sue facoltà cognitive lascerebbe uscire la figlia con uno così, poi ascolti “Scarabocchi”, l’album che presenta l’11 maggio all’Alcatraz, e pensi che un caffettino veloce si potrebbe pure autorizzare… D’altronde Chiello, tormentato speciale da playlist, va preso per quel che è; un disagiato di talento che dietro l’aspetto diversamente confortante cela un’anima sorprendente, pronta a volarsene lontana con un battito d’ali come la farfalla che ha tatuata sulla guancia. Se n’è accorta l’eletta schiera di colleghi che l’ha voluto con sé sui palchi o nei dischi, a cominciare da Mace, Rkomi, Mahmood, Guè Rose Villain che, dopo averci inciso assieme “Lacrimogeni” nel suo “Radio Vega” e avergli chiesto di affiancarla a Sanremo la sera dei duetti nel sacro nome di Battisti, firma una delle due collaborazioni di questo disco, “I miei occhi erano i tuoi”. L’altra, “Succo d’ananas“, è Achille Lauro a condividerla col cantautore lucano classe ‘99, all’anagrafe Rocco Modello.
Rocco, in che direzione sta puntando la sua strada?
“Questo è il mio terzo album e devo dire che le canzoni mi vengono ancora in modo molto spontaneo. Proprio come uno scarabocchio. Nel precedente “Mela marcia“, forse a causa delle aspettative, le cose erano andate meno lisce. Rispetto ad allora è cambiato il modo in cui lavoro, perché ho creato un team di persone fidate, che conosco da tanto tempo, con cui riesco ad aprirmi per dare vita ad un confronto continuo, o quasi. Prima, invece, i miei dischi nascevano nella solitudine delle quattro mura di casa”.
Ha fatto pace con sé stesso?
“Sinceramente non penso di aver mai litigato con me. Penso solo di aver affrontato, come tanti, un percorso di accettazione di me stesso. Ho imparato ad amarmi un po’ di più, ecco”.
Vive alla giornata?
“Sì, immerso nel presente. D’altronde pure Orazio Flacco, il poeta romano del “carpe diem“, veniva da Venosa come me”.
A proposito, cosa l’ha spinta a lasciare la provincia di Potenza per Milano, via Genova?
“Venosa è una comunità di poche migliaia di anime in cui io mi sentivo molto giudicato e senza i mezzi espressivi di cui avevo bisogno visto che non c’era neppure uno studio di registrazione. La scelta di spingermi al Nord presa attorno ai 16-17 anni è nata da questo”.
All’inizio con la metropoli, “donna che vuole apparire, con un vuoto dentro che non sa riempire”, come la definisce in un brano, non sono state rose e fiori.
“Nonostante la parentesi ligure, l’impatto con Milano è stato effettivamente un po’ traumatico, poi però un equilibrio con la città l’ho trovato. Non mi pesa stare qui, anzi, mi piace”.
Fra le diverse collaborazioni quale l’ha segnata di più?
“Con Lauro ho stretto un bel rapporto. Ci vediamo con una certa frequenza”.
Pure l’impatto con Sanremo è stato traumatico?
“No, assolutamente. E la scarica di adrenalina provata all’Ariston mi ha fatto subito dimenticare che avevo 39 di febbre. Vorrei tornarci da protagonista almeno una volta nella vita”.
E chi porterebbe, come ha fatto Rose con lei?
“Gino Paoli. Sarebbe un sogno cantare assieme uno dei suoi classici senza tempo, tipo “Il cielo in una stanza“”.