
Sotto il vestito niente compie 40 anni e torna al cinema
Milano, 4 agosto 2025 – Fulgido avviso per cinefili nostalgici: preparatevi un Ramazzotti ghiacciato – metafora liquida della viziosamente ingenua Milano da bere anni Ottanta – perché da oggi torna al cinema Sotto il vestito niente, thriller fashion dei fratelli Vanzina, tirato a lucido come una paillette per celebrare i suoi quarant’anni con proiezioni al cinema (distribuito da Cat People) e una Deluxe Bag Edition che include un vinile colorato con la colonna sonora di Pino Donaggio, un poster, un libro e un paio di slip sexy.
Quel film che fece godere il pubblico e inorridire i critici è oggi acclamato come cult generazionale in un’epoca di nostalgie canaglia, dove vogliamo farci sedurre ancora dal suo universo di moda, morte, misteri e apparenze. Proprio la capacità di aver messo in scena l’immaginario di quella fase nel suo lato più glamour e sfarzoso ha portato i critici odierni a rivalutarlo come un affresco del decennio edonista made in Italy.
Reperto sociologico involontario? Forse. Fatto sta che rivederlo oggi suscita un misto di divertimento kitsch e malinconia: dal riflusso nel privato post-anni di piombo in poi, il capoluogo lombardo divenne il regno emergente dei nuovi ricchi con la sensazione di un benessere inarrestabile, in preda a un socialismo glamour con abiti firmati e vetri fumé, inflazione in discesa ma debito pubblico alle stelle, una classe dirigente che spacchettava denaro politico con la spregiudicatezza con cui si sbocciavano magnum di champagne condite da polverina bianca dentro discoteche esclusive e hotel a cinque stelle.
La moda, manco a dirlo, era regina: Versace e Armani i nuovi dei, le supermodelle come Naomi Campbell o la Schiffer le loro vestali. E infatti Enrico Vanzina ricorda che “la moda era identificata con gli stilisti e c’erano modelle i cui volti erano quasi più importanti degli abiti”. Oggi, nota con rammarico, “è diverso, il mondo si è globalizzato, le modelle hanno volti più anonimi”. In poche parole: addio mito delle top, benvenuto fast fashion.
Chi c’era allora ne ricorderà il clamore originale: Sotto il vestito niente nacque come romanzo nel 1983, firmato dal misterioso Marco Parma. Tutti chiedevano chi si celasse dietro quel nome: c’era chi azzardava l’aristocratica Marta Marzotto, chi la first lady Maria Pia Fanfani, perfino il socialista Claudio Martelli. Alla fine, si scoprì che l’autore era Paolo Pietroni, navigato direttore del settimanale Amica, che proprio per questo conosceva alla perfezione luci e ombre della capitale della moda: da buon insider, aveva fornito un ritratto senza veli di un ambiente luccicante e corrotto, al punto che alcuni pezzi grossi della moda cercarono di bloccarne la pubblicazione.
Dapprima il produttore Achille Manzotti immaginò Michelangelo Antonioni alla regia ma il maestro incontrò un muro di gomma: bussò alle porte di Armani, Krizia, Gianfranco Ferré, e gli risposero picche. Non volevano essere associati a una storia che giudicavano “scadente, bugiarda e tale da squalificare un’intera categoria”, e lui così gettò la spugna. Ed ecco subentrare Carlo ed Enrico Vanzina, freschi re Mida della commedia popolare (Sapore di mare, Vacanze di Natale e via dicendo) che presero il libro e – eresia! – ne tennero solo il titolo, poi ripagati da Pietroni che, dopo essere uscito dalla sala, definì il film “una ciofeca”. Per il resto, via libera alla fantasia: con lo sceneggiatore Franco Ferrini reinventarono la storia da zero, ispirandosi esplicitamente a Omicidio a luci rosse di Brian De Palma e a un fattaccio reale: l’omicidio del playboy milanese Francesco D’Alessio per mano della modella americana Terry Broome, nell’84.
Il risultato? Modelle massacrate a colpi di forbici da un serial killer, un ranger americano che arriva in città telepaticamente convinto che la gemella modella sia in pericolo, e un commissario sul viale del tramonto (Donald Pleasence) a indagare. E poi il colpo di scena: Franco Moschino fiutò l’opportunità e fece il guastafeste con i colleghi: “Io sono un contestatore, vado controcorrente. Se gli altri non accettano, accetto io”. Mise a disposizione gli abiti e comparve in prima persona per un cameo in una sfilata alla Stazione Centrale di Milano.
I Vanzina puntarono su un cast internazionale e fotogenico: scelsero una top in ascesa, la danese Renée Simonsen, biondissima cover girl contesa dalle riviste di moda e per di più fidanzata con John Taylor, il bassista dei Duran Duran che la lasciò poco dop. Carol Alt, americana glaciale, fu la sua rivale per eccellenza. All’anteprima milanese la calca di spettatori fu tale che alcuni pur di entrare sfondarono la vetrata d’ingresso e dovette intervenire la polizia.
Ed è un peccato che pochi giorni fa sia mancato il geniale Lucherini che, visto che mezza Milano era già sul piede di guerra, pensò bene di gettar benzina sul fuoco: alla première romana fece riservare una prima fila di poltrone con i nomi di Armani, Krizia, Versace, Ferré, sapendo che nessuno di loro era presente – anzi, non erano stati invitati. Le sedie rimasero vuote, suscitando lo scandalo: i giornalisti abboccarono in pieno, titolando sui giornali che “La moda di Milano trema”: un capolavoro di marketing della provocazione. Ecco perché Sotto il vestito niente oggi ci fa sorridere e insieme sognare: perché, nel rivedere quelle notti a ritmo di disco music e di flash, sotto il cinismo contemporaneo ritroviamo un languore elegiaco. Sotto il vestito, in fondo, qualcosa c’era.