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Caso Ramy, i pm chiedono 2 anni e 8 mesi per l'amico che guidava lo scooter durante la fuga. Sei carabinieri parti civili

Al via il processo per resistenza a pubblico ufficiale per Fares Bouzidi. La difesa del giovane invoca la “scriminante”, ossia la “causa di non punibilità”, prevista quando il pubblico ufficiale “eccede con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni”

Caso Ramy, i pm chiedono 2 anni e 8 mesi per l'amico che guidava lo scooter durante la fuga. Sei carabinieri parti civili

Milano, 26 giugno 2025  - Due anni e otto mesi di reclusione per resistenza a pubblico ufficiale. È questa la richiesta di condanna da parte dei pm di Milano Giancarla Serafini e Marco Cirigliano per Fares Bouzidi, amico di Ramy Elgaml, il 19enne egiziano che era in sella allo scooter guidato dal 22enne e che morì cadendo nello schianto, al termine di un inseguimento di circa 8 km da parte dei carabinieri. La richiesta è arrivata nel processo abbreviato davanti al gup Fabrizio Filice. 

I rilievi sul luogo dell'incidente; nel riquadro, Ramy Elgaml
I rilievi sul luogo dell'incidente; nel riquadro, Ramy Elgaml

I pm, da quanto si è saputo, nel processo a porte chiuse e con lo sconto di un terzo del rito abbreviato, hanno chiesto di non riconoscere le attenuanti generiche per il casellario giudiziale e i precedenti di Bouzidi che, sempre secondo i pm, non ha mostrato alcuna "resipiscenza", ossia non ha mai preso consapevolezza di ciò che ha fatto quella notte. E, dunque, non c'è per lui, secondo la Procura, la possibilità di un "giudizio prognostico favorevole".  I pm hanno chiesto anche la confisca del denaro (850 euro in contranti) e di una catenina che Fares aveva, stando alle indagini, in un borsello.

Per il reato di resistenza Fares, assistito dagli avvocati Marco Romagnoli e Debora Piazza, era finito agli arresti domiciliari, poi sostituiti con l'obbligo di firma. 

Carabinieri ammessi come parti civili

Nella stessa udienza, il giudice ha ammesso come parti civili i sei carabinieri che hanno fisicamente preso parte all'inseguimento per le vie del centro di Milano. È stata respinta la costituzione proposta da un'associazione vicina ai militari, così come la richiesta di far entrare una consulenza tecnica depositata dalla difesa, gli avvocati Debora Piazza e Marco Romagnoli, nel fascicolo processuale.

Dopo i pm, hanno parlato anche i legali di parte civile dei sei carabinieri, tra cui gli avvocati Paolo Sevesi e Arianna Dutto. I legali dei militari, da quanto si è saputo, hanno chiesto al giudice di riconoscere "risarcimenti in via equitativa" per il "danno morale", senza quantificare una cifra a carico dell'imputato.

La difesa di Fares

Poi, è stato il turno dei difensori, gli avvocati Debora Piazza e Marco Romagnoli, che hanno invocato la “scriminante”, ossia la “causa di non punibilità”, prevista quando il pubblico ufficiale “eccede con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni”. Nell'intervento, davanti al gup, i legali hanno richiamato l'articolo 393bis del codice penale, che per il reato di resistenza prevede la non punibilità “quando il pubblico ufficiale” abbia “dato causa al fatto” eccedendo “con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni”.

In caso di condanna, i legali hanno chiesto al giudice di riconoscere le attenuanti generiche e di comminare una pena lieve, contestando quella di 2 anni e 8 mesi, troppo alta, chiesta dai pm. Legali che hanno contestato anche le richieste di danni morali dei carabinieri, parti civili. E sempre i difensori hanno insistito sul fatto che Fares ha reso dichiarazioni e collaborato alle indagini. "Non ho perso io il controllo, ho sentito questa botta, questo urto, questa spinta da dietro, poi siamo volati, questo mi ricordo e mi ricordo di essermi svegliato, poi, in ospedale", aveva detto il 22enne interrogato dal gip dopo l'arresto. (ANSA). GRG-BRU

La fuga e l’inseguimento

Secondo la ricostruzione dei pm, la notte dell'incidente, seguito poi da tante polemiche, Fares era alla guida del T Max “senza aver conseguito la patente” e “dopo aver assunto sostanze stupefacenti”. Invece di fermarsi all'alt dei carabinieri, avrebbe “improvvisament” accelerato dando il via ad un inseguimento “a velocità elevatissima”, mettendo in atto “manovre pericolose”, mantenendo “una velocità di gran lunga superiore rispetto ai limiti consentiti”, attraversando da una parte all'altra la città e percorrendo vie contromano o sorpassando a destra.

Caso Ramy, i pm chiedono 2 anni e 8 mesi per l'amico che guidava lo scooter durante la fuga. Sei carabinieri parti civili

Una volta arrivato all'incrocio tra via Ripamonti e via Quaranta il terribile schianto: Ramy morì e Fares rimase gravemente ferito. Per l'incidente, al centro dell'indagine principale, il 22enne è indagato per concorso in omicidio stradale con il carabiniere che quella sera era al volante dell'ultima 'gazzella' inseguitrice. Secondo il consulente dei pm, quando lo scooter tentò di svoltare a sinistra all'incrocio, sbandò e deviò improvvisamente a destra e il carabiniere che lo tallonava se lo trovò in traiettoria. Non poteva sterzare né a sinistra né a destra, altrimenti avrebbe travolto o la moto o un passante. Tentò di frenare, ma, sempre secondo il consulente, fu impossibile a quel punto evitare l'urto e lo schianto finale dei due mezzi verso un palo di un semaforo. Una consulenza che potrebbe portare i pm a chiedere l'archiviazione per il militare e a chiudere le indagini per omicidio stradale, in vista della richiesta di processo, per Bouzidi che, sempre a detta del consulente, con la sua "guida spregiudicata ed estremamente pericolosa” si è “assunto il rischio delle conseguenze”.