
Chamila Dona Wijesuriya ed Emanuele De Maria
Milano, 13 magio 2025 – Un detenuto, condannato per l’omicidio di una donna, in permesso di lavoro che accoltella un collega, uccide la donna che frequentava anche fuori dall’orario di lavoro e infine si getta dalle terrazze del Duomo alle 13.30 di domenica. Una sequenza tragica quella di cui è stato protagonista Emanuele De Maria tra venerdì e domenica, che oltre alla scia di dolore e sgomento che ha seminato, ha sollevato anche una serie di polemiche politiche sul lavoro della magistratura e sullo stesso istituto del permesso di lavoro.
Polemiche che, a livello nazionale hanno prodotto interrogazioni e richieste di ispezione al ministro della Giustizia da parte di Forza Italia e FdI: "Le valutazioni della magistratura sono state sbagliate - ha detto Maurizio Gasparri - bisogna individuare le colpe e sanzionare chi ha commesso un errore così grave".

Da parte sua, il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro ha spiegato che: "Non spetta all’amministrazione penitenziaria concedere il permesso di lavorare all’esterno del carcere e dunque sulla vicenda De Maria il Dap non c’entra nulla e non può avere responsabilità. È la magistratura, con il giudice che ha deciso per la sua scarcerazione, ad aver fatto una scelta".
Sulla vicenda, che si è conclusa in maniera drammatica nel cuore della città gremito di persone, è intervenuto anche il sindaco Giuseppe Sala: "Capisco lo sgomento dei milanesi perché indubbiamente è una cosa che è difficile da spiegare ai cittadini di come, dopo un omicidio, la condanna sia di 14 anni e dopo non molti anni il condannato possa uscire. Queste però sono le leggi".Chi conosce il mondo carcerario italiano, operando all’interno dei penitenziari da 35 anni è l’associazione Antigone, che sottolinea invece la sicurezza delle misure alternative al carcere. "Sono meno dell’1% quelle che vengono revocate per la commissione di nuovi reati - spiega il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella - mentre la recidiva è del 70% per chi sconta l’intera pena in carcere. Mettere in discussione questi strumenti per un singolo caso di cronaca è sbagliato e anche pericoloso proprio per la sicurezza, specie se si considera che sono circa centomila le persone che oggi hanno stanno eseguendo una qualche misura di comunità. Al 15 Marzo 2025 risultavano 97.009 le persone che stavano eseguendo una qualche misura di comunità nel nostro Paese, un numero in crescita da molti anni e senza il quale le carceri italiane sarebbero esplose".