
Hazem Ahmed, il 13enne accoltellato da un pusher a Porta Venezia e morto al Fatebenefratelli dopo due settimane di agonia, con il suo cane Fiamma
Milano – “Vogliamo giustizia. E che Hazem non sia dimenticato”. A Ponte Lambro piangono i familiari e gli amici di Hazem Ahmed, il 13enne accoltellato da un pusher a Porta Venezia e morto venerdì scorso al Fatebenefratelli dopo due settimane di agonia. Ucciso dalla stessa lama anche la sua Fiamma, femmina di rottweiler. “Mio figlio aveva un cuore puro, un animo buono. Quel giorno è uscito dicendo che sarebbe andato a mangiare un panino al McDonald’s con due amici più grandi che lo avevano invitato. E si è trovato in quella situazione”, racconta il padre Ahmed Elsayed.

“Prima di spalancare la porta è tornato indietro tre volte. Ha abbracciato la madre e le ha detto “ti amo“, ogni volta”. Senza sapere che la stava salutando per sempre. Ora la madre, Heba, è chiusa nel suo dolore al quarto piano di una casa popolare di Ponte Lambro, davanti al televisore del soggiorno che trasmette incessantemente le preghiere arabe del tempo di lutto.
I “due amici” a cui si riferisce il padre sono Ossama A. e Mohamed Z., 19enne e 21enne egiziani che quel giorno – nel primo pomeriggio del 16 maggio – erano andati in viale Vittorio Veneto portando anche Hazem per acquistare 20 grammi di hashish dal 27enne cubano Randi Despaigne Martinez – il più grande aveva lavorato con lui in un’azienda di Melzo, in passato –. L’uomo è stato arrestato dai carabinieri qualche ora dopo l’aggressione a Pozzuolo Martesana e ora risponde di omicidio volontario. “Dovrà pagare in carcere. Ma chiediamo anche che sia accertata la responsabilità dei due che hanno portato mio fratello di appena 13 anni in quel luogo, incuranti di metterlo in pericolo” dice Mariam, la sorella maggiore diciottenne. “In ospedale, il giorno prima di morire – continua – ha aperto gli occhi e, mentre gli nominavo quei due, ha iniziato a piangere”.
È una famiglia numerosa, la loro: Hazem era il terzo di sette fratelli. Prima di lui, Mariam e il secondogenito di 17 anni.Poi il fratellino di 11, due sorelline di 6 e 8 e un maschietto di 5. “Hazem era nato in Egitto. Ma è cresciuto a Milano: aveva un anno quando ci siamo trasferiti qui, nel 2012”. E si stava preparando a partire per l’Egitto “per visitarlo. Non vedeva l’ora. Saremmo andati insieme il 19 maggio. Ma è saltato tutto: adesso non abbiamo più gioia”, aggiunge il padre, che lavora in un’impresa di pulizie.

Il fratello maggiore è meccanico, la madre si occupa della casa. Gli altri studiano. Hazem si stava preparando per l’esame di terza media. “Prendeva l’autobus per andare all’Istituto Montalcini a Peschiera Borromeo – racconta Mariam –. Da grande avrebbe voluto studiare per diventare zoologo, perché diceva che gli animali sono meglio degli esseri umani. E amava tantissimo anche la boxe: si allenava sempre. È uno dei motivi per cui sembrava un gigante. Un gigante buono. Era uno sportivo, giocava pure a basket e correva". E come un’ombra lo seguiva la sua cagnolina Fiamma: “L’aveva salvata dai maltrattamenti del proprietario precedente, che la teneva in modo disumano. Lei viveva per lui”, raccontano i familiari. “Era una di noi. Quel giorno sono risaliti all’identità di mio figlio – dice il padre Ahmed – tramite il microchip di Fiamma”.
A Ponte Lambro lo chiamavano “Gata“, racconta l’amico Davide, soprannome ispirato al gioco Gta, che ha tra i personaggi un giovane con un cane. Hazem si era trasferito nel quartiere da meno di un anno con la sua famiglia, dalla zona di Lambrate: “E qui lo conoscevamo tutti. Era sempre in giro, al parchetto con il cane o per le strade. Era amato. Ora – concludono gli amici del quartiere – vorremmo ricordarlo organizzando una fiaccolata in sua memoria e realizzando un murale. Magari in occasione del suo compleanno”, che sarebbe stato il 24 giugno. Non ci saranno funerali nel quartiere, perché la salma verrà portata direttamente in Egitto. “Nella mia testa – conclude Mariam – mio fratello non è morto: sta dormendo. Io non riesco ancora a crederci”.

Al fianco di tutta la famiglia c’è la comunità egiziana. Ieri, il presidente milanese Aly Harhash è andato a trovarla: “Questa tragedia ha scosso tutti noi. Lancio un appello alle istituzioni: aiutate queste persone, non lasciatale sole, soprattutto adesso”.