Milano, 3 luglio 2025 – Si va verso il processo nei confronti del carabiniere al volante della gazzella che inseguì scooter sui cui viaggiava Ramy Elgaml, il giovane morto lo scorso 24 novembre dopo una fuga spericolata durata diversi chilometri per le vie della città.
La procura di Milano, infatti, ha chiuso una delle inchieste sull’accaduto, il fascicolo in cui viene ipotizzata l’accusa di omicidio stradale per il militare dell’Arma e per Fares Bouzidi, l'amico di Ramy che pilotava il TMax.

Le contestazioni
A Fares viene contestato l'omicidio stradale aggravato dal fatto, tra le altre cose, che era senza patente e che guidava sotto l'effetto di sostanze stupefacenti. Anche al carabiniere, al termine dell'inchiesta, viene contestato l'omicidio stradale e per entrambi si profila la richiesta di rinvio a giudizio - salvo che i pm non cambino idea dopo memorie difensive o interrogatori - per la morte del 19enne.

Un fatto tragico che scatenò polemiche e disordini nel quartiere Corvetto, dove vive la famiglia di Ramy. Fu il padre a spegnere le proteste, parlando della ricerca di "giustizia e verità".
La consulenza dei pm
Domenico Romaniello, ingegnere consulente dei pm Giancarla Serafini e Marco Cirigliano, aveva dato conto nella sua relazione che quando lo scooter tentò di svoltare a sinistra all'incrocio tra via Ripamonti e via Quaranta, sbandò e deviò improvvisamente a destra e il carabiniere dell'ultima macchina inseguitrice se lo trovò in traiettoria.
Non poteva sterzare né a sinistra né a destra, secondo la consulenza, altrimenti avrebbe travolto o la moto o un passante. Tentò di frenare, ma, per il consulente, fu impossibile a quel punto evitare l'urto e lo schianto finale dei due mezzi verso un palo di un semaforo.
Una consulenza che pareva dover portare ad una richiesta di archiviazione per il militare e a chiudere le indagini per omicidio stradale solo per Bouzidi, che con la sua "guida spregiudicata ed estremamente pericolosa" si è "assunto il rischio delle conseguenze".

Le "controanalisi” della difesa
I consulenti della difesa Fares e della famiglia di Ramy, però, avevano fornito ricostruzioni diverse. L'urto tra l'auto dei carabinieri e lo scooter, per l'ingegnere Matteo Villaraggia, consulente dei familiari assistiti dall'avvocata Barbara Indovina, "non può essere avvenuto in prossimità del palo semaforico, bensì poco prima dell'intersezione, quando i veicoli erano affiancati". Un urto, dunque, uno speronamento prima della fase finale.
I pm della Procura diretta da Marcello Viola hanno rivalutato anche le controdeduzioni dei consulenti e quelle poi ancora successive del loro esperto e hanno preso una linea diversa dalla prima relazione.
Resta aperta, infine, la tranche che vede altri carabinieri indagati per depistaggio e favoreggiamento, perché in due avrebbero intimato a un teste di cancellare un video.
Solidarietà al militare
Non sono mancate, nel corso della giornata, voci in solidarietà al carabiniere che sembra essere destinato al rinvio a giudizio.
“Da oltre sette mesi – afferma Stefano Paoloni segretario generale del Sap, il sindacato autonomo di polizia – il collega dell’Arma è sottoposto a procedimento penale per aver cercato di svolgere al meglio il suo servizio e cercato di bloccare uno scooter in fuga. Abbiamo visto tutti le immagini dell'inseguimento. Il fatto che il collega sia ancora sottoposto a procedimento penale è un brutto segnale per chi è alla guida 24 ore su 24 di una gazzella o di una volante. Serve una norma a tutela degli operatori delle forze dell'ordine che eviti l'imputazione per ‘atto dovuto’ e consenta una celere definizione delle responsabilità".
L’assessore regionale Romano La Russa, da parte sua, si è detto “indignato” e ha dichiarato di considerare “inaccettabile” l’ipotesi di un rinvio a giudizio del carabiniere che, dice l’esponente della giunta Fontana, “ha correttamente svolto il proprio lavoro, come aveva stabilito nei mesi scorsi la consulenza disposta dalla stessa Procura di Milano”.