
L’androne del palazzo dove abitava Emma Teresa Meneghetti e dove è stata uccisa nel suo appartamento dall’ex vicino di casa
Milano, 15 maggio 2025 – “Volevo scappare e le ho chiesto aiuto, ma lei non me l’ha dato”. Sono le 14 di ieri, siamo in una palazzina gialla di quattro piani in zona Cermenate. M.S., 15 anni compiuti a novembre, è appena rientrato a casa: ha le scarpe sporche di sangue. “Cosa hai fatto?”, gli chiede allarmata la madre, quarantaquattrenne di origini venezuelane. Lui confessa di aver assassinato l’ex dirimpettaia di via Verro 46, a poco più di chilometro di distanza, dove i due vivevano fino a un anno fa.
La confessione alla madre
“Ho usato questa”, dice mostrando una lampada di pietra che tiene nello zaino. La mamma, in lacrime, chiama il 112 e riferisce quello che le ha appena raccontato l’adolescente: “Venite subito”, dice alla centrale operativa di via Fatebenefratelli, indicando anche strada e civico della presunta vittima. Gli agenti dell’Ufficio prevenzione generale si precipitano a casa dell’anziana in zona Vigentino, salgono al terzo piano e scoprono purtroppo che M. ha detto la verità: Emma Teresa Meneghetti è a terra, per lei non c’è niente da fare.

L'accusa: omicidio volontario
È la tragica ricostruzione del delitto avvenuto nella tarda mattinata nella prima periferia sud della città: il colpevole reo confesso è un quindicenne che di recente avrebbe evidenziato una forma di depressione giovanile e che per questo aveva già sostenuto alcuni colloqui con specialisti; in serata è stato fermato con l’accusa di omicidio volontario. In seguito, potrebbero essere disposte perizie psichiatriche dal giudice su richiesta della difesa o della stessa Procura per capire se il ragazzo fosse capace di intendere e di volere al momento dell’assassinio. La spiegazione che avrebbe farfugliato alla madre (“Volevo andare via”) sembra più una strampalata giustificazione postuma che un movente vero e proprio di un raid senza un perché.
L’ultimo caffè
Alle 7, come ogni giorno, la signora Meneghetti, che tutti nel quartiere chiamavano “Terry”, si è presentata al Dolly bar per prendere un caffè: “Era puntualissima, una delle prime clienti che servivamo”, raccontano al bancone. Proprio la telecamera installata vicino al locale riprende alle 9 l’arrivo del quindicenne: la scuola che frequenta è dietro l’angolo, ma lui non ci arriverà mai. Si ferma, davanti al palazzo in cui ha vissuto fino al 2024, e ci entra. In quel momento, la pensionata ottantaduenne non c’è: rientrerà solo a mezzogiorno. M. aspetta per tre ore, sul pianerottolo o nel cortile interno: lì in tanti se lo ricordano, la sua presenza non insospettisce gli altri inquilini che lo incrociano.

La discussione
Quando Teresa rientra, lo riconosce subito e probabilmente lo accoglie con un sorriso. Poi, però, succede qualcosa che solo il presunto killer può raccontare: forse i due hanno una discussione, a detta di lui per il rifiuto di lei di dargli una mano a “scappare”. Il quindicenne, stando alla confessione alla madre, mette le mani al collo della signora Meneghetti e la strangola; poi afferra una lampada di pietra e la colpisce ancora. Alle 13, lo stesso occhio elettronico immortala l’uscita del ragazzo dall’edificio. M. si incammina verso casa e appena arrivato racconta tutto alla mamma.
La Scientifica
L’alert alla Questura genera l’intervento immediato delle Volanti: in via Verro arrivano anche gli investigatori della Squadra mobile, guidati dal dirigente Alfonso Iadevaia, il medico legale, le tute bianche della Scientifica e il pm di turno della Procura dei minori Pietro Moscianese Santori. L’adolescente e la madre (il padre vive all’estero) vengono portati in via Fatebenefratelli per essere ascoltati. In serata, la figlia di Teresa avrà un mancamento davanti al palazzo: tre agenti la sorreggono per evitare che cada a terra.