
Oggi l’incontro fra i sindacati e la griffe britannica sui 39 licenziamenti. Attività della sede milanese trasferite nel Regno Unito e tagli nei negozi.
La scure del gruppo britannico Burberry, griffe fondata quando correva l’anno 1856 e caratterizzata da abiti e accessori con motivo a tartan, si abbatte su Milano. Nell’ambito di un piano globale di riduzione del personale, sono 39 i lavoratori milanesi su un totale di circa 330 in Italia al centro di una procedura di licenziamento collettivo in una fase delicata per il settore della moda e dell’abbigliamento, con ripercussioni sull’occupazione nei negozi e negli uffici. Oggi è previsto un incontro fra i sindacati Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl e Uiltucs e l’azienda, che nonostante l’apertura estiva dello stato di agitazione finora non è tornata sui suoi passi.
"È stata aperta una procedura di licenziamento collettivo senza nemmeno valutare il ricorso agli ammortizzatori sociali – spiega Stefania Ricci, sindacalista della Filcams che sta seguendo la vertenza – e questa è purtroppo una scelta, che riteniamo grave, diffusa nel settore della moda". I licenziamenti sono trasversali, e riguardano sia il personale dei negozi sia gli impiegati della sede milanese. Alcune funzioni, infatti, verranno delocalizzate e trasferite nel Regno Unito, senza offrire ai dipendenti coinvolti una proposta di ricollocamento. Nei negozi, invece, verranno tagliate alcune attività di back office, affidandone la gestione al personale che resta e aumentando quindi i carichi di lavoro.
"Le motivazioni addotte dall’azienda fanno riferimento a una presunta necessità di riorganizzazione interna, finalizzata a migliorare i margini di efficienza, al fine di contrastare la crisi del lusso che sta rallentando le vendite in tutto il circuito moda", hanno spiegato i sindacati. "La difficoltà del settore non può essere una scusa per diminuire solamente gli organici. Burberry sceglie di licenziare a causa di scelte di business non corrette, investimenti eccessivi e risultati economici inferiori alle aspettative, proponendo la chiusura dei rapporti di lavoro con incentivi anche inferiori a quanto successo nel 2022, data dell’ultima procedura di licenziamento collettivo aperta". Questa ennesima crisi, secondo le sigle, "dimostra la fragilità di modelli economici che caratterizzano molte multinazionali: quando i profitti crescono, si capitalizza senza redistribuire; quando il mercato rallenta, si scaricano i costi sulle lavoratrici e sui lavoratori". Oggi, quindi, è previsto l’incontro con i rappresentanti dell’azienda, per poi valutare eventuali iniziative di protesta.
Un settore, quello della moda, che sta vivendo acque agitate. Dalle griffe al fast fashion, gli occhi dei sindacati sono puntati anche sulla scelta della catena olandese di abbigliamento a prezzi contenuti C&A di disinvestire sull’Italia, chiudendo negozi e filiali. Un addio che dovrebbe completarsi a febbraio 2026, dopo aver già abbassato alcune saracinesche, mentre sono in corso le trattative per mitigare l’impatto sui lavoratori anche attraverso il ricorso agli ammortizzatori sociali. È solo l’ultima di una serie di crisi che hanno coinvolto grandi catene, con la conseguente perdita di posti di lavoro.