Neonata abbandonata a Sesto: quei quattro drammi tra Milano e hinterland nel giro di un mese

Da Enea, affidato a Pasqua alla culla della Mangiagalli, al giallo di Amelia. Una bimba data alla luce nell’ex caserma, un’altra morta lasciata nel cassonetto.

Una neonata

Una neonata

Milano, 30 maggio 2023 – Quattro episodi in meno di un mese solo tra Milano e la prima cintura, dal 9 aprile a quest’ultimo della bimba che infermieri e ostetriche chiamano Amelia, di cui il Comune di Sesto San Giovanni ha dato notizia ieri, ma che è stata abbandonata il 5 maggio. Quattro casi molto diversi tra loro, che in comune hanno l’aver coinvolto bambini molto piccoli e la difficoltà in cui s’è trovata chi li ha partoriti.

Il primo è stato Enea: così l’aveva chiamato la mamma che l’ha lasciato il giorno di Pasqua nella "Culla per la vita" della Mangiagalli, con un biglietto che ha indotto il primario della Neonatologia Fabio Mosca a ricordarle pubblicamente che era ancora in tempo per ripensarci. Appello rilanciato dal conduttore televisivo Ezio Greggio, con parole diverse e un passaggio ("Si merita di avere una mamma vera e non una mamma che poi dovrà occuparsene") che ha fatto infuriare genitori e figli adottivi, alimentando la polemica di chi ritiene queste offerte d’aiuto un intervento a gamba tesa sul diritto della madre biologica a non essere giudicata per la sua scelta e a rimanere segreta.

Un diritto, quello a partorire in anonimato e a non riconoscere il figlio affidandolo all’ospedale, stabilito da una normativa del Duemila, che viene esercitato, senza nessun clamore, mediamente una volta ogni mille bambini che nascono in Italia. In base a un’indagine realizzata nel 2015 dalla Sin (Società italiana di neonatologia), il 37,5% delle donne che scelgono di non riconoscere un figlio sono italiane, il 48,2% sono giovani maggiorenni tra i 18 e i 30 anni. Una realtà nella quale le “culle per la vita”, eredi tecnologiche, sicure e discrete delle antiche ruote degli esposti, rappresentano l’eccezione: sette neonati affidati in 15 anni alle strutture della rete "Ninna ho" creata dalla Fondazione Francesca Rava (cinque costruite negli ospedali del Ponte di Varese, Federico II di Napoli, di Parma, Padova e al Careggi di Firenze, più le culle pre-esistenti del Casilino di Roma e del Policlinico di Milano che hanno aderito), sette incluso Enea, che è stato il terzo per la culla della Mangiagalli dal 2007. Affidato, non "abbandonato", quel bimbo che un paio di settimane fa è stato adottato da una giovane coppia con un nome diverso e una diversa data di nascita, e affidata anche Noemi, lasciata il 3 maggio nella culla termica della Croce rossa a Bergamo, che non fa parte della rete Ninna ho ed entrava in funzione per la prima volta dalla sua installazione nel 2019.

Ma non è stata "abbandonata" neppure la bambina che solo tre giorni dopo l’arrivo di Enea alla Mangiagalli è stata partorita da una 37 enne italiana, senza fissa dimora e con molti problemi, sul pavimento di una caserma dismessa a Quarto Oggiaro: la mamma ha chiamato il 112, sono state accompagnate al Buzzi per le cure e lì lei ha scelto di non riconoscerla e affidarla all’ospedale.

Mentre forse si può parlare di "abbandono", e forse non solo della bambina, nel caso più triste di questi: il 29 aprile, meno di una settimana prima che Amelia fosse abbandonata fuori dal pronto soccorso dell’ospedale di Sesto, una neonata senza vita era stata adagiata all’imbrunire all’imboccatura di un cassonetto giallo per la raccolta di abiti usati, all’angolo tra via Saldini e via Botticelli, in Città Studi. Era avvolta in una felpa rossa, e c’era stata la cura di non farla scivolare giù in mezzo ai vestiti; chi l’ha trovata, in un primo momento ha sperato fosse una bambola. L’autopsia ha rivelato che la neonata è stata lasciata lì quando era già morta, i primi accertamenti suggerivano che forse non ha mai nemmeno respirato. Nata morta, forse, da una donna che non sapeva che si può essere seguite per tutta la gravidanza gratis, che si abbiano o meno i documenti, partorire in sicurezza e, se si desidera, in anonimato, affidando il bambino all’ospedale. Senza essere giudicate.

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