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Irene Pivetti: “Non avevo più soldi, mi vendevo tutto. Ho fatto le pulizie e andavo alla mensa dei poveri. Mi preparo al carcere”

L'ex presidente della Camera è stata condannata a 4 anni per evasione fiscale e autoriciclaggio, ora è a processo per la compravendita di mascherine anti-Covid dalla Cina: “Mi hanno distrutto. La mia colpa è aver fatto l'imprenditrice”

Irene Pivetti, 62 anni

Irene Pivetti, 62 anni

Milano – La più giovane presidente della Camera dei Deputati nella storia d’Italia – era il 15 aprile 1994, la prima stagione post Tangentopoli, aveva 31 anni – ha fatto la donna delle pulizie e ha mangiato alla mensa dei poveri. Irene Pivetti (già, come detto, terza carica dello Stato, e poi volto tv e imprenditrice) oggi di anni ne ha 62 e sono pieni di rimpianti. Una vita segnata da guai giudiziari e crisi economiche.

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La prima donna leghista ai vertici del Paese è stata travolta da un’accusa di evasione fiscale e autoriciclaggio (la vicenda della finta vendita di Ferrari in Cina: condanna a 4 anni) e poi è finita a processo per la compravendita di mascherine anti-Covid. “Non so nemmeno come sono finita coinvolta in questo nuovo procedimento, ma so di non aver fatto nulla di male”, ha detto in un’intervista al Giornale. Pensa mai alla possibilità di finire in carcere? “A domanda precisa rispondo di sì -. ha detto al Corriere – Ci penso, mi preparo anche a questa eventualità. Ho le mie tristezze di mamma e ora anche nonna, ma non lascio che questo pensiero prenda il sopravento sulla mia vita”.

Irene Pivetti in tribunale
Irene Pivetti in tribunale

Storia di una caduta rovinosa dallo scranno di Montecitorio. “Non avevo neanche i soldi per mangiare, vendevo tutto quello che potevo, persino i regali di nozze”, ha raccontato al Giornale. Durante il lockdown, il crollo: “Capitava di non riuscire a fare la spesa. Sono andata a ritirare pacchi di cibo alla Caritas di San Vincenzo”. 

La svolta, ha raccontato Pivetti al Giornale, è arrivata in una cooperativa di ex detenuti, Mac Servizi, che l’ha accolta in uno scantinato. Pivetti dal servizio al Paese ai servizi di pulizia. Stipendio: mille euro al mese. “Avevo i soldi per mangiare, sarò sempre grata a chi mi ha teso la mano quando tutti si allontanavano”. E ancora: “Ero diventata un’appestata, nessuna azienda voleva più fare consulenze con me, la politica era sparita, mi sono ritrovata completamente sola”.

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Si è sentita tradita? Qualcuno l’ha abbandonata? Nessun rancore, ha risposto Pivetti: “Non ho niente da rimproverare a chi mi ha voltato le spalle, umanamente li comprendo. La macchina giudiziaria fa troppa paura”. La giustizia: “Una macelleria”. Ecco le sue parole: “È una macelleria, più predisposta a fare sacrifici umani che a cercare la verità. Ci sono magistrati eroici, ma anche cattivi e altri che si barcamenano. Il problema non sono loro, è il sistema stesso, che travolge le vite delle persone e non dà loro possibilità di difesa”. La presunzione di innocenza, ha sottolineato, per lei è “inesistente”: “C’è solo la presunzione di colpevolezza. Quando entri in questo sistema distorto, non sei più umano”.

Irene Pivetti e la Ferrari che le è costata la condanna
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E ora? "Cerco di vivere anche questo con equilibrio. Non voglio che la condanna pesi come una spada di Damocle sulla mia vita. Grazie a Dio, e non è una frase fatta, sono riuscita a riprendere la mia vita”, ha risposto al Corriere. La fede la aiuta? “Il Signore sa quello che fa e mi affido a lui”. Quanto al processo, così ha risposto al Giornale. “Potrò avere la verità quando avrò almeno 70 anni? E poi, che faccio? Ricomincio a 70 anni?”. Il carcere non è solo un incubo: è una possibilità: “Devo arrivarci preparata. Oppure il processo potrebbe durare più della mia vita. Per questo ho deciso di non aspettare per vivere. Ho pagato tutte le tasse, rispettato i contratti, tenuto in piedi le mie aziende – ha aggiunto Pivetti –. Mi accusano di fallimento e evasione, ma io credo nel senso dello Stato. L’Italia mi ha dato tanto e vorrei che i giovani recuperassero questo senso, perché è la nostra vera ricchezza”.

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Il fatto di chiamarsi Irene Pivetti può aver giocato a suo svantaggio, le ha chiesto il Corriere. Risposta: “Qualcuno lo pensa, ma io non credo al complotto. È un sistema che colpisce tanti imprenditori come me. In un momento perdi tutto, già solo per il fatto di essere un imprenditore sei dalla parte del torto. In un attimo ti ritrovi sbattuta in prima pagina, anche se non condanno i giornalisti che fanno il loro lavoro. Anche questo è parte del sistema che ti toglie dignità, rovina la tua immagine, ti annienta anche economicamente. Non mi hanno tolto la casa perché non l’avevo, ma ad altri è successo anche quello, poi conti correnti bloccati. Io non mi vergogno di dire che ho preso i pacchi di viveri dalla San Vincenzo. Lo dico non per destare pietà, non mi sono mai lamentata, ma perché ho la possibilità di dare voce a tanti he sono nella mia situazione e non possono raccontarlo. Quante storie conosciamo di imprenditori che perdono tutto e poi risultano innocenti?”.

Oggi, in attesa degli eventi, Irene Pivetti si occupa di progetti culturali con l’associazione Amicizia Italia Cina: “Promuovo eventi culturali, organizzo missioni per imprenditori italiani, faccio da ponte. La Cina è una parte importante e bellissima della mia vita dal 2011, un Paese che cresce e accoglie in modo straordinario”. Davvero nessun rimorso? Nessun rimpianto? “Non aver minimamente immaginato i risvolti del fare impresa in Italia, la possibilità di finire nel tritacarne. Non rifarei più l’imprenditrice”.