
La facciata del condominio a pochi passi dall’ospedale Buzzi di Milano
Per il 19 giugno è attesa la decisione sul rinvio a giudizio sul caso delle Park Towers, le torri di 81 e 59 metri e un terzo stabile di via Crescenzago 105 per cui sono imputati costruttori e progettisti con accuse a vario titolo di abusi edilizi e falso. Il caso della Torre Milano alla Maggiolina e del cantiere in via Fauchè 9 sono già davanti al Tribunale, e nei prossimi mesi potrebbero arrivare le prima sentenze nei procedimenti che hanno messo sotto la lente la gestione dell’urbanistica milanese mentre la Giunta comunale, lo scorso 7 maggio, ha fissato nuove regole su urbanistica ed edilizia: linee di indirizzo che, in attesa del nuovo Pgt, puntano a sbloccare la situazione di stallo e garantire la “prosecuzione coordinata e uniforme dell’attività istruttoria degli interventi”. Palazzo Marino, intanto, ha chiesto circa 1,3 milioni di euro alla società Bluestone per i mancati oneri di urbanizzazione nella costruzione delle Park Towers. Il progetto è uno dei primi finiti nelle oltre 20 inchieste per presunte violazioni delle leggi urbanistiche ed edilizie, nazionali e regionali, e per gli sconti sugli oneri versati alle casse pubbliche per compensare l’arrivo sul quartiere del nuovo “carico urbanistico”. Sul fronte penale i pm Filippini-Petruzzella-Clerici, con l’aggiunta Tiziana Siciliano, contestano le “monetizzazioni” che sarebbero avvenute sottocosto. Alla scorsa udienza preliminare del 13 maggio le difese di costruttori, progettista, dirigenti e funzionati del Comune, hanno contestato le cifre e gli illeciti. Per l’avvocato Fabio Todarello, uno dei legali, se la società Bluestone Crescenzago srl avesse seguito le ‘interpretazioni’ dei pm (la Procura ritiene dal canto suo di seguire le leggi) avrebbe risparmiato circa 300mila euro e non pagato di più.
MILANO – Al civico 9 di via Fauchè, a pochi passi dalla fermata del metrò di Gerusalemme, dall’ospedale Buzzi e da corso Sempione, restano le tracce di un cantiere fermo e uno scheletro abbandonato: ponteggi, mattoni a vista e materiali edili lasciati nel cortile. Una ferita aperta per i residenti e un caso giudiziario, nella scia delle inchieste che hanno messo sotto la lente la gestione dell’urbanistica milanese, con due fronti che si intersecano, penale e amministrativo. Mercoledì è stata fissata la nuova udienza davanti alla decima sezione penale del Tribunale di Milano, ancora in una fase pre-dibattimentale, a carico di tre indagati: il direttore dei lavori e progettista, il legale rappresentante dell’impresa affidataria dei lavori e il legale rappresentante della committente, la Fauchè 9 srl. Tra gli atti prodotti dal pm Paolo Filippini anche la sentenza 2353 del Tar della Lombardia depositata il 7 agosto 2024 che finora ha fatto da apripista nei casi di presunti abusi edilizi contestati dalla Procura di Milano.
Sentenza che ha accolto il ricorso contro il Comune e il costruttore presentato da alcuni residenti e dell’amministratore di un super condominio composto da circa 200 appartamenti tra le vie Fauchè e Castelvetro, rappresentati dagli avvocati Wanda e Carlo Mastrojanni. Il nuovo edificio, secondo il Tar, “sia per le sue caratteristiche strutturali che per la funzione cui è adibito, la quale introduce un rinnovato carico urbanistico del tutto diverso da quello prodotto dal precedente edificio” non può che essere considerato “alla stregua di una nuova costruzione” e, quindi, non avrebbe potuto ricevere il disco verde come ristrutturazione, con Scia alternativa al permesso di costruire.

Ribadisce il principio (in linea con le contestazioni mosse finora dalla Procura) “secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale” che “si fuoriesce dall’ambito della ristrutturazione edilizia e si rientra in quello della nuova costruzione quando fra il precedente edificio e quello da realizzare al suo posto non vi sia alcuna continuità, producendo il nuovo intervento un rinnovo del carico urbanistico che non presenta più alcuna correlazione con l’edificio precedente”. Il Comune e la società hanno impugnato la sentenza davanti al Consiglio di Stato, senza però chiederne la sospensione dell’efficacia: l’udienza deve ancora essere fissata.
“È importante sottolineare che non essendo stata chiesta la sospensione della sentenza – spiega l’avvocata Wanda Mastrojanni – la pronuncia del Tar è efficace ed esecutiva e obbliga il Comune a conformarvisi ordinando la demolizione dell’opera abusiva e il ripristino dell’area. Per il suo portato generale la pronuncia detta un principio ordinatore a cui il Comune dovrebbe adeguarsi per le numerose situazioni simili”.
Una nuova residenza, in un quartiere di Milano dove i valori degli immobili stanno crescendo anno dopo anno, al posto di un magazzino già gravato da irregolarità mai sanate, legate anche a quella “soprealevazione realizzata abusivamente” in passato, su 69 metri quadri, che secondo le accuse sarebbe stata utilizzata erroneamente come “parametro di riferimento per definire l’altezza preesistente e conseguentemente quella dell’edificio in via di costruzione”.
Committente e progettista, difesi dall’avvocato Cesare Cicorella, sul fronte penale hanno presentato una corposa memoria, chiedendo il non luogo a procedere sostenendo in sostanza la correttezza del loro operato e di aver seguito le direttive del Comune, ora al vaglio della giudice Antonella Bertoja. Palazzo Marino, indicato come parte offesa, finora non si è costituito parte civile ma ha depositato una memoria. E giovedì si aprirà un altro round al Tar sul caso della Torre Milano alla Maggiolina, una delle decine di operazioni immobiliari finite al centro delle inchieste della Gdf coordinate dai pm Marina Petruzzella, Paolo Filippini e Mauro Clerici, su cui è già in corso il processo.