La faida per il dominio della curva. Il tentativo di cacciare da San Siro i rivali in ascesa, i propositi di vendetta sbandierati ai quattro venti dagli osteggiati e la possibile mossa d’anticipo del leader che non voleva spartire nulla con nessuno e che avrebbe ordinato al suo braccio armato di eliminare un ostacolo non si sa quanto temibile. Ecco il movente, almeno secondo l’accusa, del tentato omicidio del cinquantunenne Enzo Anghinelli, aggredito a colpi di pistola la mattina del 12 aprile 2019 da due uomini in scooter.
Un agguato che ha reso per sempre invalida la vittima, ma che ha solo scalfito l’aura da immortale del narcotrafficante che di un altro raid datato 1998 porta nel petto una pallottola che i medici non riuscirono a estrarre. Uno dei quattro proiettili calibro 38 esplosi cinque anni e mezzo fa gli ha trapassato la testa, entrando dallo zigomo sinistro e uscendo dalla regione temporale destra, costringendolo a un mese di coma e a una vita con le stampelle.
Giovedì gli investigatori della Squadra mobile hanno fermato uno dei presunti esecutori materiali, portando in cella il cinquantaduenne Daniele Cataldo, da sempre ritenuto il braccio destro del capo della Sud Luca Lucci, a sua volta indagato in concorso e ritenuto dai pm Leonardo Lesti, Sara Ombra e Paolo Storari il possibile mandante. Le indagini hanno ricostruito la scalata al potere lanciata nel 2018 da Domenico Vottari, con precedenti per “omicidio, armi e stupefacenti” e le spalle inizialmente coperte dall’eminenza grigia Giuseppe Calabrò alias ’Dutturicchiu‘ e dai suoi legami con “famiglie di ’ndrangheta degli Staccu di San Luca e dei Barbaro-Papalia di Platì”.
Un gruppo messo in piedi con l’obiettivo di inserirsi nell’indotto nero di San Siro per lucrare sulla “gallina dalle uova d’oro”, puntando agli incassi da capogiro attribuiti alla coppia Lucci-Lombardi: “Dobbiamo mangiare pure noi”. Un gruppo che ha provato ad approfittare dell’arresto del ’Toro‘ per farsi strada, avvicinandosi proprio a ’Sandokan‘ e facendo leva sulla voglia di rivalsa del vecchio leader deposto dal rampollo. Peccato che la reazione di Lucci non si sia fatta attendere, stando a quanto emerso dall’inchiesta degli specialisti della Omicidi guidati dal dirigente Alfonso Iadevaia e dal funzionario Domenico Balsamo.
Dagli atti emerge che, con il “re” dietro le sbarre, il gruppo “Black Devil” ha ottenuto da Lombardi e da Giancarlo Capelli alias “Barone” il via libera per posizionarsi il primo anello blu per la stagione 2018-19, ma è bastato che Lucci uscisse di galera per il dietrofront. Da lì sarebbero scattate le aggressioni di “avvertimento”. I familiari di Anghinelli ne hanno citate tre: Enzino sarebbe stato malmenato in occasione di due diversi derby, la prima volta il 21 ottobre 2018 da “un soggetto denominato Shrek” (il pretoriano di Lucci Alessandro Sticco) e la seconda il 19 marzo 2019 (a tre settimane dalla sparatoria di Porta Romana) dal ’Toro‘ in persona e da altri ultrà che lo avrebbero costretto a inginocchiarsi in bagno e a dire “Sono un figlio di papà di m.”; in mezzo, il pestaggio al Dall’Ara durante Bologna-Milan subìto dall’amico avvocato Alessandro Verga Ruffoni. Senza dimenticare la bomba carta deflagrata fuori dal lounge bar di Vottari a Solaro il 9 novembre 2018.
Episodi di cui Anghinelli dice di aver parlato anche con l’ex calciatore Giuseppe Sculli (non coinvolto nell’indagine), che si sarebbe proposto di contattare “i ragazzi del ristorante I Malacarne” per organizzare un incontro chiarificatore con Lucci: “Ma la cosa non si è mai verificata e dopo circa venti giorni mi hanno sparato”. Chi ha agito? Per gli inquirenti, Cataldo era certamente nel gruppo di fuoco, ma sarebbe stato il conducente del Suzuki Burgman e non il passeggero sparatore. I due riuscirono a scappare, ma i poliziotti sono riusciti a monitorare i movimenti del motorino per una dozzina di chilometri, fino all’ultima immagine utile in via Catania a Sesto San Giovanni. Dietro casa Cataldo.