Il carabiniere al volante dell’Alfa Romeo Giulietta nella fase finale del lungo inseguimento sfociato nell’incidente e nella morte di Ramy Elgaml, avrebbe tenuto "una distanza dal motoveicolo inseguito estremamente ridotta, sempre inferiore a 1,5 metri, e dunque inidonea a prevenire collisioni con il mezzo in fuga".

Avrebbe violato, secondo la Procura, "le regole di comune prudenza e diligenza in occasione di servizi urgenti di istituto". Fares Bouzidi, il 23enne sul T-Max con a bordo anche Ramy, che la notte del 24 novembre 2024 non si è fermato all’alt ed è fuggito per 8 chilometri fino al tragico schianto, con la sua guida pericolosa provocò la morte dell’amico 19enne, come lui originario dell’Egitto e residente al Corvetto. Entrambi rischiano di finire sotto processo per l’accusa di omicidio stradale, con un concorso di colpa contestato dalla Procura per quell’urto nella fase finale dell’inseguimento che portò alla "caduta" e allo "slittamento" dello scooter.
I pm Giancarla Serafini e Marco Cirigliano hanno chiuso infatti le indagini preliminari a carico dei due, atto che solitamente prelude a una richiesta di rinvio a giudizio. A Fares (già sotto processo per resistenza a pubblico ufficiale e difeso dall’avvocata Debora Piazza) viene anche contestata l’aggravante di aver circolato "contromano e senza la patente di guida".
Potranno ora presentare memorie difensive o farsi interrogare, mentre resta aperta la tranche che vede altri carabinieri indagati per depistaggio e favoreggiamento, perché avrebbero intimato a un testimone di cancellare un video. Nell’avviso di chiusura indagini l’imputazione di omicidio stradale per Fares ricostruisce tutta la sua fuga, dopo essersi "sottratto all’intimazione dell’alt", la corsa anche a velocità fino a 120 km/h, i tratti contromano e poi quel tentativo di svoltare a sinistra in via Quaranta "per poi effettuare una repentina e improvvisa manovra a destra", provocando così l’urto "dell’area posteriore destra" dello scooter "con la fascia anteriore del paraurti" dell’auto dei militari. E con il "conseguente slittamento" del mezzo "sul manto stradale" e la morte di Ramy finito contro il palo di un semaforo.
Allo stesso tempo, però, secondo i pm il carabiniere, difeso dall’avvocata Arianna Dutto, guidava "ad una distanza estremamente ravvicinata", tanto che quando la moto sbandò a destra, dopo aver provato a girare a sinistra, "urtava con la fascia anteriore del paraurti" il T-Max, "provocandone così la caduta" e di conseguenza la morte di Ramy. Il militare, per i pm, teneva una distanza troppo ridotta, anche a fronte di una velocità nel tratto finale di 55 km/h, senza tenere conto, poi, in sostanza, della "lunga durata dell’inseguimento" di 8 chilometri, atta ad "inficiare le capacità di concentrazione alla guida", e nemmeno della "natura del veicolo inseguito", uno scooter con due "a bordo", di cui uno "senza casco". Il consulente degli stessi pm, l’ingegnere Domenico Romaniello, in 164 pagine aveva invece valutato come corretto il comportamento del carabiniere alla guida dell’ultima macchina inseguitrice, attribuendo tutta la responsabilità dell’incidente all’amico di Ramy.