
Da sinistra suor Monica Ceroni e Carlo Acutis, morto nel 2006 a 15 anni di leucemia fulminante: sarà proclamato santo il 27 aprile
Milano – “Carlo era uno studente fuori dalle righe, non è il Santo da ‘immaginetta’”. Suor Monica Ceroni è stata preside e insegnante di religione di Carlo Acutis che, tra una settimana esatta, sarà proclamato Santo.
Come lo ricorda?
“Con noi (all’Istituto delle Marcelline, ndr) Carlo ha trascorso dalla prima elementare alla terza media: è entrato bambino, è uscito preadolescente. Era vivace, di un’intelligenza spiccata. Un bravo figlio, un bravo amico, un bravo studente. E per bravo studente non intendo lo studente preciso, che piace tanto ai professori, attento e diligente. Inseguiva sempre qualcosa di suo, era fuori dalle righe”.
In che senso?
“Il suo desiderio di conoscere era così intenso che si attivava per cercare strade originali. Abbiamo sorriso rivedendo le sue pagelle: l’unico ottimo era in religione, tanti “discreti”, “buoni”, qualche sufficiente. L’andamento era altalenante, come per tanti ragazzi poteva variare in base a una finale di calcio, a un amore, agli argomenti”.
Non un secchione, insomma.
“Tutt’altro e ne ha combinate tante con i compagni. Brillava anche nella capacità di arrampicarsi sui vetri, di arrivare alla risposta con intuizione e deduzione, argomentando. Come quei ragazzi che non hanno bisogno di studiare a memoria una paginetta perché altrimenti non sanno come muoversi. Geni ed eroi spesso non riescono a stare dentro margini precisi: c’è chi diventa poeta, chi artista. Lui Santo”.
A Milano lo ricordano portare coperte ai clochard.
“Penso abbia sviluppato questa propensione negli ultimi tempi, mettendo in pratica una sensibilità che aveva già dimostrato, aiutando i compagni che avevano difficoltà o bisogni speciali”.
Il patrono del web era già attento alle tecnologie?
“Inseguiva il prof di Informatica delle superiori, chiedendo informazioni. A casa aveva strumenti avanzati: uno dei suoi giochi preferiti era costruire vignette con cani e gatti che facevano discorsi. Realizzava filmatini, cartoni animati. E aiutando la mamma ha capito come trasmettere la fede con la tecnologia”.
Come avete affrontato i giorni della sua malattia a scuola?
“Ricordo la telefonata della mamma: Carlo non studiava più qui, ci disse che era ricoverato per una leucemia fulminante. Stava chiamando le persone credenti per chiedere di pregare per lui, per strapparlo alla morte. Cinque giorni dopo è successo il peggio. Ho dovuto avvisare io le classi. Oggi tutto a scuola parla di Carlo: i gradini che lo hanno visto correre un milione di volte, le aule che ha cambiato. È qui da sempre”.
Cosa avete pensato quando è cominciato il cammino verso la santità?
“Carlo non ostentava la sua vita di fede, non girava col rosario in mano, aveva un modo di esprimerla concreto. I cristiani sono così. Tante leggende metropolitane hanno nascosto il vero profilo: la sua è una santità della quotidianità, dei tanti santi della porta accanto, che ci sono”.
E cosa dice ai giovani d’oggi?
“Che la santità è approcciabile, non è lontana da noi: anche da piccoli si può arrivare fin qui. E invita noi insegnanti ed educatori a dare ai ragazzi la possibilità di esprimere capacità ed entusiasmo. Troppo spesso sono frenati dalle nostre angosce, non li aiutiamo a spiccare il volo. Guardiamoli pensando di avere davanti i medici del futuro, il Presidente della Repubblica del futuro, il Santo del futuro”.