Pensioni, riforma 2023. Le ipotesi spiegate dall'esperto: età, calcoli, cosa conviene

Quali sono i vantaggi e gli svantaggi delle diverse possibilità? Quanto si perde uscendo prima dal mondo del lavoro?

Non è ancora nato ma il Governo Meloni (se e quando entrerà in carica) dovrà affrontare, fra le altre questioni, il nodo pensioni. Se non ci saranno interventi sino a fine anno scadrà quota 102 e tornerà in vigore la Legge Fornero.

E dopo le promesse elettorali sono molte le ipotesi in campo: da Quota 41 a Opzione Uomo passando per i 62 anni con soglia conrtributiva. Ma come funzionano questi sistemi? Quali sono i vantaggi e gli svantaggi?

Opzione Uomo

Tra le possibilità al vaglio del futuro governo guidato da Giorgia Meloni c'è anche Opzione Uomo, una estensione agli uomini della già esistente Opzione Donna.

Una possibilità che prevede la pensione anticipata a 58-59 anni con 35 di contributi e ricalcolo dell’assegno contributivo. In pratica i lavoratori che decidono di andare in pensione prima, potranno farlo ma con un assegno ridotto, con un taglio che potrà ammontare fino al 30 per cento. Sul tavolo della maggioranza anche l'eventuale proroga di almeno un anno di Opzione Donna e Ape Sociale.

Pensioni: Opzione uomo
Pensioni: Opzione uomo

In pensione a 62 anni con 35 di contributi

Per superare Quota 102 c'è anche l'ipotesi elaborata da Fratelli d’Italia per consentire le uscite con un minimo di 62 anni e 35 di versamenti, prevedendo "penalità" prima del raggiungimento dei 66 anni (fino a un massimo dell’8%) e bonus sopra questa soglia.

Quota 41

Quota 41 prevede il pensionamento per coloro che hanno 41 anni di contributi a prescindere dall’età e rappresenta la priorità della Lega. Ma, secondo le stime dell'Inps, si tratta di una ipotesi molto onerosa per le casse dello Stato: si partirebbe con circa 4-5 miliardi il primo anno per arrivare fino a 10.

Quota 41 con soglia anagrafica

Proprio per ridurre l’impatto sui conti pubblici, il centrodestra starebbe valutando di vincolare Quota 41 a una soglia anagrafica: questo permetterebbe di limitare di molto l'impatto economico. Tutto dipende comunque da quali saranno i paletti individuati e dai calcoli dell'Inps: se però si dovesse fissare la soglia a 60 anni, o a 61, non si farebbe altro che replicare Quota 101, oppure l'attuale Quota 102.

Quanto si perde

Fondamentale è però sapere quanto si perde andando in pensione in anticipo. Perché con il progressivo aumento del sistema contributivo uscire in anticipo dal mondo del lavoro sarà sempre più economicamente penalizzante.

Le valutazioni dell'esperto

A spiegare come funzionano i vari sistemi ci ha pensato Gianni Geroldi, economista, docente di Economia della previdenza e dei sistemi pensionistici presso l'Università Cattolica di Piacenza. Geroldi è stato anche direttore generale per le politiche previdenziali del ministero del Lavoro, consulente di vari ministri del Lavoro ed è membro del Social protection committee (Comitato consultivo per le politiche sociali dell'Unione europea). "I vari meccanismi di 'Opzione' sull'uscita dal lavoro potrebbero avere meno incidenza di quanto si pensa o essere meno incentivanti che in passato, perché si è praticamente esaurita la platea di quelli che avevano 18 anni nel 1995 e che, dunque, ha potuto mantenere quote ancora abbastanza significative di calcolo retributivo sull'assegno pensionistico".

Effetto 2012

"Questi lavoratori hanno mantenuto il calcolo retributivo sulla loro carriera fino al 2012, anno in cui la Legge Fornero ha portato tutti al calcolo contributivo. Dunque, nel calcolo delle persone che stanno uscendo sarà sempre maggiore la quota contributiva". 

Dunque, sintetizza Geroldi, "il ricalcolo al contributivo diventa di fatto un disincentivo ad andare via prima dal lavoro, sempre meno rilevante". Oltretutto, Geroldi ricorda anche che il dilemma sull'età di pensionamento è nato in un contesto ben specifico. "La questione che si è posta più volte e che uscì da alcune raccomandazioni che si facevano in sede europea, era quella dell'innalzamento dell'età in funzione dell'adeguatezza dell'assegno.

Il sistema contributivo

Il sistema contributivo prevede una determinazione di calcolo delle prestazione basata sull'intera vita assicurativa di un individuo; si basa sulla somma dei contributi versati durante l'intera vita lavorativa moltiplicata per la variazione media quinquennale del prodotto interno lordo, determinata dall'Istat.

Il sistema retributivo

Semplificando al massimo, si intende con metodo retributivo il calcolo dell'assegno pensionistico sulla base delle ultime retribuzioni. Un sistema migliore per chi va in pensione, naturalmente che avrà un trattamento mensile più ricco.

L'esempio di calcolo

"Se si faceva la distinzione sull'età di pensionamento, quando la parte retributiva era ancora rilevante, allora la versione al contributivo, aveva un ruolo di spinta affinché la gente rimanesse a lavorare perché naturalmente ci perdeva molto ad andare in pensione prima: fino al 30%. Su una pensione da 1.500 euro, parliamo di ben 500 euro che se ne andavano".  "Quando si arriva, invece, come adesso, ad avere una quota dominante nel contributiva nel calcolo delle pensioni di quelli che escono, questo effetto diventa meno rilevante. Diventa invece rilevante il fatto che le persone se ne vanno presto rischiano di avere pensioni molto basse, diventa più rilevante la penalizzazione", sottolinea Geroldi.

I conti dell'Inps

"In pensione solo con 41 anni di contributi senza limite di età? Costa troppo: l'Inps sta facendo dei conti e li fa bene. Meglio se si fissa un paletto di uscita dal lavoro a 63 anni".  Un'ipotesi più realistica, dice, infatti, l'esperto, potrebbe essere "sì di lasciare Quota 41, ma abbinando una soglia di età limite che potrebbe essere 63 anni". "Arrivare cioè alla quota 104, ossia 2 punti in più dell'attuale 102, che permette di andare in pensione a 64 anni con un'anzianità contributiva minima di 38 anni. E allora qualcuno dice proroghiamo quota 102 e amen. Ma, anche in questo caso, bisognerà comunque capire se si manterrà fisso uno dei due parametri, o l'età o i contributi, perché, una volta, le quote potevano essere raggiunte indifferentemente dalle due componenti. Ora, siccome i soldi sono pochi, si mettono degli sbarramenti all'età anagrafica", osserva Geroldi.  La 'Quota 41' sembra piacere anche ai sindacati.

I sindacati

"Il segretario della Cgil Maurizio Landini ha spiegato che quota 41 gli andrebbe bene - dice Geroldi - e poi si può discutere l'età. E' un ragionamento che abbiamo già fatto col primo governo Conte, due anni fa, quando avevamo fatto un gruppo di lavoro sulla previdenza: si sapeva che grosso modo la quota su cui si poteva discutere era 41 anni di contribuzione e 63 anni di età. Il governo puntava a 64 e il sindacato a 62". Posizione che i sindacati hanno tenuto e ribadito anche con il governo Draghi. Ma che a Geroldi sembra abbastanza "utopica".

Le criticità del sistema pensionistico

Comunque, sia Quota 41 sia Opzione Uomo (altra ipotesi allo studio), osserva Geroldi, "non toccano per niente o toccano solo molto parzialmente le due principali criticità del sistema pensionistico".  Geroldi dettaglia: "Mancano alcune cose a completare il sistema pensionistico, che sono essenzialmente due: la flessibilità, che riguarda soprattutto chi ha difficoltà a mantenere oltre certe soglie di età a mantenere l'occupazione, e la questione di chi ha carriere molto fragili che non gli consentono di avere pensioni adeguate. E questo è un tema che rimanda alle cosiddette 'pensioni di garanzia', consentire insomma a chi ha poco accumulo per raggiungere una buona pensione, la possibilità di integrare l'accumulazione o nell'arco della vita finale o nella fase finale della carriera, anche perché le pensioni minime con il sistema contributivo non esistono più".