CLAUDIO NEGRI
Cultura e Spettacoli

Noi siamo tigli delle stelle

Negri I tigli del mio borgo, Melzo, sono belli come tutti gli altri loro confratelli arborei che ombreggiano e profumano i...

Negri I tigli del mio borgo, Melzo, sono belli come tutti gli altri loro confratelli arborei che ombreggiano e profumano i...

Negri I tigli del mio borgo, Melzo, sono belli come tutti gli altri loro confratelli arborei che ombreggiano e profumano i...

NegriI tigli del mio borgo, Melzo, sono belli come tutti gli altri loro confratelli arborei che ombreggiano e profumano i viali d’Europa. Anzi, no: i nostri di viale Gavazzi sono ancora più belli. Specie quelli destinati alla sega elettrica per necessità, senza virtù, di passo carraio. Sì, sono i più belli. Perché tra i rami, anche in calma di vento e anche spogli di foglie, stormisce il vissuto di quasi un secolo della nostra gente. Loro, i tigli, sono un po’ noi e noi, alla fin fine, siamo un po’ loro. Storie di famiglia. Guai a chi tocca i figli. O i tigli, di cui siamo figli. Chiedo scusa, sono solo un paroliere da rubrica e quello che scrivo si perde tra le foglie, ma vorrei tanto che le mie allodole servissero a qualcosa. Racconto impressioni, penso alla strada tra i tigli novelli che ancora correva dritta in campagna puntando al Settentrione: in fondo al rettifilo, con la piramide bruna della Grigna, si disegnava un’idea di continuità arborea all’insegna del fior del tiglio. Un miracoloso, ombroso Verde Cammino da Melzo fino a Innsbruck e poi su su fino a Berlino, traguardando l’Unter den Linden, sotto i tigli, giustappunto. Eh, magari. Le leggende, si sa, sono piene di frottole, ma è bello raccontarle, servissero almeno a fermare l’esecuzione. Da abitante del quartiere ho però più ricordi che favole. I due tigli davanti alla vecchia scuola media che non c’è più: era bello vederli dalle aule nel vento scapigliato di aprile o intrisi da mille piogge ingiallire sopra il forte tronco bruno, stagno alle vere nebbie. Anche il cortile interno della scuola era contea di tigli e loro si facevano sentire, eccome, specie a primavera. Dove vado a parare? Da nessuna parte: parole, parole, parole. Tra le quali ci metto quelle di un passato di guerre a cerbottane – i bussolotti – lungo il fosso verde e asciutto del viale, coi tigli sempre discreti e imparziali. E ci metto anche un maggio tiepido e inquieto, quando scoprimmo l’esistenza delle ragazze. Stavano sedute sul bordo di una panchina, pronte a scappare via, ridendo. Avevano fiori di tiglio nei capelli, ma questa è solo un’impressione in esubero.