
Un'aula scolastica
Milano, 6 settembre 2025 – “Te il liceo non riesci a farlo”. Se l’era sentito dire Leila, studentessa bresciana con background migratorio, dai docenti delle scuole medie. Lei non ha desistito e si è iscritta al primo anno di un liceo delle scienze umane a Brescia. “Ho sempre avuto qualche difficoltà, è vero, però sono molto migliorata, la mia media generale ora è buona”.
Come lei, anche Sana, 18 anni, origine egiziana, a cui, alle medie, era stato consigliato “un istituto molto semplice” e che ora, giunta alla fine di un percorso liceale sempre a Brescia, afferma: “Alla fine, non li ho mai ascoltati i loro consigli anche perché mi dà molto fastidio il modo in cui l’hanno detto ai miei genitori”.
Sono alcune voci di ragazzi e ragazze raccolte nel nuovo rapporto di Save the children “Back to school, Chiamami con il mio nome”, che, oltre ad analizzare i dati relativi a studenti e studentesse senza cittadinanza italiana ha anche fatto un approfondimento (col supporto di Think-tank Tortuga, Fondazione Bruno Kessler-Centro per le Scienze Religiose e il movimento Italiani Senza Cittadinanza) per capire se e come lo status di cittadino influenza le scelte dei percorsi scolastici degli studenti con background migratorio. Se, infatti, il naufragio del referendum di maggio ha mandato in soffitta, per ora, la possibilità di abbreviare l’iter per l’ottenimento della cittadinanza, la realtà è che, nei prossimi giorni, sui banchi delle scuole lombarde torneranno circa 215mila studenti e studentesse senza cittadinanza italiana.
Per la Lombardia, si tratta di circa il 20% degli studenti, con una tendenza in aumento: se, infatti, il numero complessivo di alunni e alunne è in calo per effetto dell’inverno demografico (erano 1.142.946 nel 2022/2023, sono stati 1.116.818 nel 2024/25), ragazzi e ragazze senza cittadinanza italiana sono invece in crescita (12.835 in più in 3 anni, con un incremento importante dei nuovi ingressi).
Cosa comporta esser studente senza cittadinanza? Dalle interviste, emerge che c’è una buona propensione a iscriversi ai licei, ma spesso viene scoraggiata, non solo (e non tanto) da questioni economiche ma da pregiudizi negativi nell’orientamento. Aspetto ricorrente e trasversale è l’uso dello scherzo come forma di interazione sulla diversità, sia dentro che fuori l’istituzione scolastica. Le battute su provenienza, accento o cittadinanza sono frequenti, ma perlopiù vissute in modo affettuoso, come segnali di complicità.
Lo studio, tuttavia, evidenzia che “l’umorismo può diventare una forma di discriminazione ‘soft’ che si mimetizza dietro la leggerezza dello scherzo, rendendo più difficile riconoscerne la portata e gli effetti”.