Garzeno (Como) – Dopo quattro giorni di silenzio, durante i quali ha cercato prima di negare, per poi chiudersi nel mutismo, ieri mattina il diciassettenne ha ammesso di aver rapinato e ucciso Candido Montini, titolare di un negozio di alimentari ed ex vicesindaco di Garzeno (Como), trovato morto il 26 settembre scorso. Così il giudice per le indagini preliminari del Tribunale dei Minori di Milano Irina Alice Grossi, ha convalidato il fermo per omicidio volontario e rapina, e sottoposto l’adolescente (parente alla lontana della vittima) alla misura cautelare in carcere, al Beccaria.
Per due volte, davanti al magistrato che coordina le indagini, Myriam Iacoviello, il giovane aveva deciso di rimanere in silenzio. Ma poi si è confrontato con i suoi difensori, ha ragionato sulla situazione, nei quattro giorni passati lontano da casa e lontano da tutto nell’istituto di reclusione. Ha messo in fila quello che i carabinieri hanno raccolto su di lui, elencato nel provvedimento di fermo che gli è stato notificato lunedì sera: la traccia del suo sangue lasciata sul coltello che ha ripetutamente colpito la vittima, i passaggi sotto l’unica telecamera della frazione di Catasco dell’auto della madre che non gli garantivano un alibi, il coltello identico trovato a casa. Ma anche il possibile movente: il tentativo di farsi cambiare dal pensionato 300 euro falsi il giorno prima, sfociato poi in una lite, e la conseguente perdita di reputazione davanti alla piccola collettività in cui viveva. Il bisogno di denaro di un ragazzo che aveva lasciato la scuola e non trovava lavoro, che sperava nella fortuna cantando musica trap.
Così ieri mattina ha ammesso di essere stato lui. Entrato in casa del 76enne con un coltello da cucina in tasca, con il quale lo ha colpito almeno 28 volte, anche quando era a terra, fino al fendente alla gola. Gli ha preso il portafogli, forse ha frugato un po’ per casa. E poi si è allontanato, lasciando l’uomo agonizzante, o forse già morto, steso in un lago di sangue. Senza accorgersi di un taglietto che si era fatto tra il palmo e il mignolo della mano destra, impugnando quel coltello che aveva un ispessimento tra manico e lama. Ha toccato la ringhiera davanti alla porta di ingresso di casa della vittima, e anche il cancelletto. Ha gettato il coltello vicino al pollaio assieme al portafogli svuotato di ogni centesimo.
Si è lasciato alle spalle le prove più importanti che lo hanno portato in carcere, tre mesi prima di diventare maggiorenne, e che hanno reso vano il suo tentativo, lunedì, di negare ogni accusa. “Anche questa tragica vicenda – ha commentato la presidente del Tribunale per i minorenni di Milano, Maria Carla Gatto – che segue a breve distanza di tempo altri eventi parimenti drammatici che hanno come protagonisti giovani appartenenti a famiglie inserite nel contesto sociale, evidenzia un gravissimo e allarmante disagio che non viene tempestivamente intercettato né dalla famiglia né dalla scuola né dalle diverse agenzie del territorio”.