Garzeno (Como) – “Per un mese abbiamo atteso con impazienza la verità, chi ha ucciso Candido, e adesso che c’è un nome non riusciamo a credere che sia lui il colpevole”. Non sanno darsi pace a Catasco dove martedì c’erano più giornalisti e inviati tv che abitanti, perché chi lavora era già in Svizzera e gli altri avevano poca voglia di parlare, chiusi in casa con la stufa accesa. Un dedalo di stradine e soprattutto di scale, come quella che dalla casa di Candido Montini porta alla piccola bottega chiusa dal 24 settembre scorso, in un intrigo di passaggi che fanno girare la testa e affaticano il passo, un labirinto perfetto tranne per chi è nato e vive qui. Forse per questo gli inquirenti hanno capito subito che la soluzione di quel delitto così efferato e insieme così anomalo andava cercata in quel piccolo mondo dove qualcuno, forse, ha imparato anche a uccidere.
“Qui abitava Candido, al primo piano”. Una signora indica la casa con la porta di legno bianco dove spiccano i sigilli e il decreto di sequestro, come una ferita ancora aperta. “Da qui si sale verso la bottega. Da qualche parte c’è ancora il carrellino che Candido usava per portare le bombole e le casse d’acqua. Andavamo tutti a fare la spesa da lui”. Venti metri oltre l’uscio di casa hanno trovato l’arma del delitto, quel coltello appoggiato su una tettoia di lamiera che è diventato la prova decisiva, perché lì sopra sono state trovate le tracce del Dna, il portafoglio abbandonato è stato rinvenuto in un altro vicolo a pochi passi di distanza.
“Ci siamo sottoposti tutti alla prova del Dna perché pensavamo fosse un forestiero, mai avrei pensato a uno di Catasco, uno di noi – spiega un residente –. Certo che conosciamo quel ragazzo, qui i giovani e i bambini sono pochi, sono tutti anziani. Era con noi anche domenica, abbiamo fatto la castagnata in piazza. Conosciamo la famiglia, il papà, la mamma, la nonna sono imparentati anche con il Candido, il nonno era secondo cugino”.
Niente di più facile nel piccolo borgo dove i tetti e i muri della case si toccano e le porte di sera fino all’assassinio di Candido neppure si chiudevano. “Adesso però lo facciamo e continueremo a farlo. Il male ha trovato la strada per salire fin qui”. Mentre il ragazzo in stato di fermo continua a tacere e a proclamarsi innocente la speranza è che la spiegazione del giallo sia un’altra. “Anche se c’è il Dna potrebbe esserci un’altra versione. Magari non era solo”. Attende la verità anche Maggy, la cagnolina di Candido. Di lei si prende cura una vicina.