"Manolo ha distrutto la mia vita, dopo 27 anni non avrò giustizia"

Morte del reo, processo chiuso. Il figlio superstite: non ci credo

Guido Viscardi all'uscita dal tribunale (Fotolive)

Guido Viscardi all'uscita dal tribunale (Fotolive)

Brescia, 18 maggio 2017 - «Sono in.. come una bestia e non ho alcuna voglia di parlare. Mi aspettavo che il giudice decidesse qualcosa di diverso? No, siamo in Italia». Così le parole all’uscita dal palazzo di Giustizia di Brescia di Guido Viscardi, l’unico sopravvissuto alla strage di Torchiera di Pontevico (Brescia) della notte di Ferragosto del 1990, quando una rapina nella villa di famiglia costò la vita ai suoi genitori, Giuliano e Agnese Viscardi di 58 e 53 anni, e a suoi due fratelli, Luciano e Maria Francesca di 28 e 23 anni. Ieri la Corte d’Assise ha definitivamente messo la parola fine al processo italiano contro Ljubisa Vrbanovic, noto come Manolo, il responsabile della strage già condannato in Serbia per quel quadruplice omicidio e morto nell’ospedale del carcere di Belgrado per un tumore ai polmoni l’11 marzo del 2014.

Dalla Serbia, dopo la richiesta del Tribunale di Brescia di notizia sulla morte e sul luogo di sepoltura che di quello che le cronache hanno ribattezzato come “il killer dagli occhi gialli”, sono arrivati tutti gli atti del processo celebrato contro Manolo (condannato a morte per la strage, pena poi trasformata in 40 anni di carcere) e anche la comunicazione del suo decesso. Mancavano però i documenti relativi al luogo della sepoltura (la sua tomba, come ha portato alla luce una recente inchiesta giornalistica, è nel cimitero di Kragujevac, nella Serbia centrale). Ma le carte arrivate da Belgrado e quanto la stampa locale ha riportatosono bastati alla corte per chiudere una volta per tutte il processo.

«Non luogo a procedere perché il reato si è estinto con la morte del reo», così Roberto Spanò, il presidente della Corte d’Assise, si è espresso al termine di una lunga camera di consiglio in cui i giudici togati e popolari hanno preso in esame la richiesta del pubblico ministero Mauro Leo Tenaglia di riesumare il cadavere di Manolo e di compararne il Dna con quello della presunta figlia Violeta, una nomade che vive in un campo a Roma, e con quello del fratellastro detenuto a Frosinone. Per la Corte, però, l’esame non avrebbe portato ulteriori elementi sul decesso di Manolo, che il tribunale di Brescia non avrebbe comunque processato in virtù del principio del «ne bis in idem» che vieta di giudicare una persona due volte per lo stesso episodio. Davanti a questo anche la pubblica accusa si è trovata “costretta” a chiedere il non luogo a procedere nei confronti del bandito serbo. «Manolo non è morto – ha ribadito in aula il legale di Guido Viscardi, che ieri si era costituito parte civile – Ne sono convinti Guido Viscardi e i suoi familiari. Manolo e gli altri suoi familiari nel corso del processo in Serbia e in altre occasioni hanno più volte minacciato Guido Viscardi. Questo aspetto andava tenuto in considerazione».