Manolo, il killer diventato fantasma: la Serbia non sa dove sia sepolto

Strage di Pontevico, la rabbia del superstite: «Voglio certezze»

I coniugi Viscardi

I coniugi Viscardi

Brescia, 11 marzo 2017 - La risposta da Belgrado è arrivata al tribunale di Brescia nei giorni scorsi. La traduzione dei documenti è però un duro colpo per chi fino all’ultimo ha sperato che Ljubisa Vrbanovic, l’autore della strage di Torchiera di Pontevico (in provincia di Brescia) della notte di Ferragosto del 1990, venisse processato in Italia.

Quella notte Manolo, questo il suo soprannome, in compagnia di un complice morto da tempo entrò nella villetta in cui viveva la famiglia Viscardi e nel corso di una rapina uccisero Giuliano Viscardi, 57 anni, la moglie Agnese Maringoni, di 53 anni, i figli Luciano, 29 anni e Maria Francesca di 24 anni. Sopravvisse solo Guido Viscardi, il primogenito che dopo essersi sposato si era trasferito in un’altra villetta poco lontana da quella dei genitori. «Non siamo più in possesso delle cartelle cliniche di Ljubisa Vrbanovic - hanno scritto in poche righe dal ministero di Giustizia serbo -. Non sappiamo nemmeno dove sia stato sepolto il suo corpo». Perché Manolo, questo il soprannome dell’ “assassino dagli occhi gialli”, per le autorità della Serbia sarebbe morto per un carcinoma polmonare l’11 marzo 2014 nell’ospedale carcerario di Belgrado.

Davanti alle poche righe arrivate da Belgrado, e allegate a tutti gli atti del processo celebrato in Serbia per quell’episodio e che ha visto Manolo venire condannato alla pena di morte tramutata poi in 40 anni di carcere, si profila quindi l’archiviazione del procedimento per l’estinzione del reato visto il decesso dell’unico imputato. Il processo «bresciano» si è aperto nel dicembre 2015 davanti alla Corte d’assise, ma subito è stato rinviato dopo l’arrivo del certificato di morte di Manolo. Ad aprile del 2016 un nuovo rinvio dopo la richiesta, attraverso rogatoria, di informazioni sul decesso.

Alti sei mesi di attesa, quindi a ottobre in aula rinnovata la richiesta degli atti relativi al processo serbo, integrata da una nota in cui si chiedeva di poter conoscere il luogo di sepoltura. Era stata inoltre avanzata la possibilità di comparare il dna di Manolo, se fosse stato ritrovato, con quello del suo fratellastro detenuto per la Procura di Brescia a Frosinone. Ora la risposta è arrivata. Ma è incompleta. I documenti del processo serbo ci sono, le indicazioni sul luogo della sepoltura no. E per Guido Viscardi, l’unico superstite, è una nuova delusione. «Voglio sapere dove è il suo corpo - commenta -. Per me Manolo non è morto. Quella gente non muore mai. Voglio vedere le carte dell’ospedale. Non posso accettare queste risposte. Serve la certezza che ci sia lui nella tomba o dove è stato messo. Qualcuno forse si è dimenticato di questa vicenda. Io non posso, anche nel rispetto dei miei genitori».

Il processo è stato aggiornato al 17 maggio. Quel giorno entreranno in aula le carte arrivate dalla Serbia in cirillico e tradotte in italiano. A quel punto, salvo improbabili colpi di scena o un eventuale nuovo rinvio che difficilmente però la Corte potrebbe concedere, potrebbe essere imboccata la strada dell’archiviazione del processo italiano sul quale calerebbe il definitivo sipario.