
Entro il 2050 le Alpi potrebbero perdere tra il 60 e il 65% della loro massa glaciale
Brescia – Del ghiacciaio di Indren in cui la valanga azzurra si allenava non resta più nulla, se non un piccolo residuo. Oggi il limite frontale del ghiacciaio è a 3.200 metri, con una risalita della quota minima di circa 250 metri dal 1927, data di inizio dei rilevamenti da parte del Comitato Glaciologico Italiano, e un regresso lineare di circa 900 metri. “L’evoluzione? Potrebbe spezzarsi in due – spiega Marco Giardino, vicepresidente del Comitato Glaciologico Italiano –, con la zona sud che avrà sempre meno massa glaciale. Non è solo il ghiacciaio che soffre, ma la montagna che si trasforma, come si vede già oggi dai massi che puntellano la superficie del ghiacciaio stesso”. Al cospetto dell’Indren, sul massiccio del Monte Rosa, la Rete delle Università Sostenibili presieduta da Carmine Trecroci (Università degli studi di Brescia), con Cai e Comitato Glaciologico Italiano, ha voluto lanciare un doppio appello, nell’ambito della nuova edizione di Climbing for Climate. Innanzitutto, l’allarme sullo stato di salute dei ghiacciai alpini che, negli ultimi 150 anni, hanno perso il 65% del volume complessivo: secondo le proiezioni, entro il 2050 le Alpi perderanno almeno un terzo della loro massa glaciale anche in scenari di mitigazione; negli scenari più realistici la perdita potrà raggiungere il 60-65%.
In Lombardia, ad esempio, il Servizio Glaciologico Lombardo ha interrotto quest’anno le misurazioni del Ventina (Valmalenco) dopo 130 anni, perché l’ultimo caposaldo di misura è stato coperto dai detriti scivolati dalle placche di ghiaccio; sull’Adamello, la neve resiste solo sopra i 3.200 metri. “Purtroppo – ha spiegato Trecroci – la riduzione delle emissioni di gas serra c’è, ma è troppo lenta. L’Italia si è impegnata a ridurle del 43,7% entro il 2030 rispetto a quelle del 2005, ma per ora gli obiettivi intermedi sono stati violati. Ciò vuol dire che bisognerà correre, con costi che saranno maggiori per alcune categorie. Cosa non funziona? Le emissioni dai trasporti continuano a salire, la transizione energetica è troppo lenta”.
Bisogna anche imparare ad adattarsi a cambiamenti che sono inevitabili. “Ai ghiacciai sono collegati interi bacini, attività economiche che dovranno adeguarsi e dovranno tener conto della riduzione della riserva glaciale a monte. Allo stesso tempo, fare o non fare un impianto, non può essere deciso in base all’interesse di un singolo operatore. Oggi, però, manca una visione d’insieme”. Per questo, la RUS ha firmato il Manifesto per una governance unitaria dei ghiacciai, eredità dell’edizione 2025 di Climbing for Climate. “I dati che raccogliamo – aggiunge Giardino – servono per gestire il territorio e difenderlo meglio, servono a indicare nuove fonti d’acqua o a prevenire il rischio idrogeologico. Ma non possiamo affrontare tutto questo in modo frammentato”.