Stefano Binda parla in aula: "Non ho ucciso Lidia Macchi"

Udienza davanti al Tribunale del Riesame. Per la prima volta l'uomo ha professato la sua innocenza davanti a dei magistrati

Stefano Binda

Stefano Binda

Milano, 18 maggio 2016 - Per la prima volta dal giorno dell'arresto Stefano Binda, l'uomo in carcere dallo scorso 15 gennaio per l'omicidio della studentessa Lidia Macchi uccisa con 29 coltellate nel gennaio del 1987, ha professato la sua innocenza davanti a dei magistrati. L'uomo stamani si è presentato nell'aula del Tribunale del Riesame di Milano per l'udienza nella quale si discute il ricorso della sua difesa contro la proroga della custodia cautelare concessa dopo tre mesi per altri tre mesi. 

Al termine dell'udienza i giudici si sono riservati: si esprimeranno nei prossimi giorni sul ricorso. Rilasciando dichiarazioni spontanee in aula, Binda ha spiegato di essere "innocente" e di non aver mai cercato di inquinare le prove, quando ha saputo di essere indagato, attraverso contatti con persone che frequentava nel periodo in cui fu uccisa Lidia, sua ex compagna di liceo. "Non c'entro nulla con l'omicidio - ha spiegato - non ho ucciso io Lidia". Nel corso dell'interrogatorio di garanzia nei giorni successivi all'arresto l'uomo si era avvalso della facoltà di non rispondere. Era rimasto in silenzio anche durante un faccia a faccia in carcere, nelle scorse settimane, con il sostituto procuratore generale di Milano Carmen Manfredda.  Visibilmente dimagrito e vestito con jeans e maglione, Binda è assistito dagli avvocati Sergio Martelli e Roberto Pasella, che contestano in particolare la sussistenza del pericolo di inquinamento probatorio alla base della proroga disposta dal gip di Varese. Nelle scorse settimane la Cassazione aveva confermato il carcere per Binda. In aula era presente anche il sostituto pg di Milano Carmen Manfredda che ha riaperto le indagini sul cold case, chiedendo e ottenendo anche la riesumazione della salma della giovane.