
Rilievi nell'abitazione di Villa di Tirano teatro dell'omicidio-sucidio
Villa di Tirano (Sondrio) – L’autopsia che il dottor Luca Tajana, dell’Istituto di Medicina legale dell’Università di Pavia, effettuerà venerdì sui corpi di Maria Borserini, 89 anni, e del figlio Emilio Del Dosso Vanari, classe 1974, potrà stabilire se quest’ultimo abbia sparato e ucciso la madre e subito dopo abbia rivolto l’arma verso di sé, oppure se dall’esplosione di quel primo colpo siano trascorse ore.
O se avesse bevuto o assunto dei farmaci, prima di quell’estremo gesto che ha portato l’esperto fresatore della Fratelli Magro Officine Meccaniche a porre fine alla vita dell’anziana mamma, con la quale viveva, prima di congedarsi definitivamente anche dalla sua. A Villa di Tirano tutti ne parlano, ma nessuno ha voglia di parlare. In un paese reso deserto dalla calura e dallo sgomento, si scuote la testa, lo stupore è un tutt’uno con il dispiacere. Ma mentre sui social la notizia dell’omicidio-suicidio ha scatenato, di riflesso, anche una serie di accuse a chi li avrebbe colpevolmente lasciati soli e di lamentele su come gli anziani malati siano troppo spesso emarginati, quando non dimenticati, chi conosceva Emilio e la madre sa bene che il quadro è diverso.
"Non è stato un dramma della solitudine, io conoscevo bene entrambi. Non avevano problemi economici e, soprattutto, Emilio si preoccupava sempre del benessere della madre – assicura Pietro Magro, il datore di lavoro di Miglio, così veniva chiamato Emilio –. La verità è che lui non stava bene, lo aveva anche ammesso. Si sentiva senza stimoli, spento”. Per l’uomo, che aveva una vita sociale e relazionale buona, numerosi amici tra l’ambiente di lavoro, quello dei motori e il bar, l’elemento scatenante di un malessere che non c’era, o covava soltanto nel profondo, va fatto risalire a marzo, quando in seguito a un incidente in moto e a una brutta frattura cui fece seguito un intervento chirurgico, si è trovato a lungo “fuori gioco“. Immobilità, stampelle, riabilitazione. In casa riusciva a fare ben poco per l’amata mamma.
Probabilmente proprio la convivenza 24 ore al giorno con Maria, a propria volta piuttosto malconcia, reduce da un ictus e con una forma depressiva piuttosto importante, deve aver cominciato a minare la tenuta emotiva di Miglio. “In maggio era tornato al lavoro, ma dopo alcuni giorni era stato costretto a rimettersi in malattia perché la gamba si era gonfiata di nuovo – continua Pietro Magro –. Fisicamente poi ha cominciato a migliorare, ma dal punto di vista dell’umore era sempre più giù, tant’è che gli ho detto che come famiglia lo avremmo aiutato a uscire da questa fase così negativa, anche mio figlio Samuele si è speso molto e io ero riuscito già a farlo parlare con un medico. Evidentemente non abbiamo fatto abbastanza, visto come è andata”.
La scorsa settimana Emilio aveva lavorato regolarmente, sino a venerdì. “Puntuale, preciso, come sempre. È stato contento che mio figlio lo affiancasse, diceva che stare alla ‘sua’ fresa lo faceva sentire utile, lavorare era uno stimolo per uscire, non fare brutti pensieri”. Lunedì, però, in quell’officina a 200 metri di casa non è più tornato e con la mamma, con cui ha diviso la vita, ha deciso di condividerne anche la fine.