
Gli striscioni dei tifosi del Monza
Monza – Una retrocessione annunciata. A tre anni dalla salita in serie A, accompagnata da quello slogan - “Destinazione Paradiso“ - che aveva fatto sognare un’intera città, unendo nell’orgoglio che solo una provinciale può avere i tanti tifosi dei diversi colori, il Monza torna in Purgatorio. Un clima surreale in uno stadio semivuoto ha accompagnato l’ultimo tonfo dei biancorossi, trafitti dai quattro gol dell’Atalanta e matematicamente ricacciati in serie B. Zitti per 90 minuti gli ultrà della Dea, sotto choc per la morte del tifoso della curva nord Riccardo Claris. Lo stesso striscione, con il nome del giovane accoltellato alla schiena da un tifoso interista al termine di un litigio calcistico, e un minuto di silenzio in sua memoria, ha accomunato le due tifoserie avversarie. Con gli ultrà del Monza, i ragazzi della famosa curva Pieri, indecisi tra rassegnazione e sfottò alla squadra.
Una cavalcata verso il baratro contraddistinta da fischi e cori di scherno - un sarcastico “olè“ a ogni passaggio dei biancorossi - e terminata con l’abbandono della curva a fine partita, senza neppure salutare la squadra. “Non c’è squadra, non c’è società, ci sono solo gli ultrà”, il commento del capo della curva PIeri, Fausto Marchetti. Un disappunto già espresso più volte nelle scorse settimane e culminato in aprile con striscioni irriverenti come “I vostri stipendi corrono più di voi“, e, “Onnipresente coi soldi di Berlusconi, don Abbondio senza i milioni“, all’indirizzo dell’ad Adriano Galliani, assente in tribuna.
Che ieri sarebbe stato solo il giorno della condanna matematica era ormai chiaro non solo in curva: tribuna est deserta e tanti biglietti dell’ultima ora messi in vendita sui social dai tifosi delusi. Sugli spalti, inossidabile e rammaricata, una delegazione della Giunta guidata dal sindaco Paolo Pilotto. Con lui un tifoso inossidabile fin dalla prima ora come il suo vice, Egidio Longoni, e l’assessora allo Sport Viviana Guidetti: nei mesi scorsi avevano lanciato persino un appello alla città ad andare a sostenere la squadra. Perché Pilotto lo riconosce: i successi nello sport contribuiscono all’idea che ci si fa di una città.
“È un grande dispiacere – ha ammesso ieri il sindaco, quando, sul tre a zero, la squadra era già matematicamente retrocessa – . I rapporti fra la città e la società sono sempre stati ottimi. E il lavoro fatto dalla società per fare funzionare bene lo stadio e il Monzello è stato serio ed enorme. Oggi infatti il Monzello è un grande esempio di cura ma anche di crescita, con 700 tesserati, con squadre maschili e femminili dai 6 anni in su”.
“Una storia molto bella e una relazione di naturale simpatia, dispiace perché sono prevalse altre logiche in una città che conta 240 società sportive e dove lo sport conta tantissimo”, aggiunge Pilotto. E, senza scomodare i 300mila tifosi che arrivano da 4 anni a Monza per il Gp, lo spiega bene: “Il fatto di essere stati molto in alto nel calcio, nella pallavolo, nell’hockey e nella rotellistica è stato importante per il nome della città. Uno dei miei crucci è che non riusciamo a a trovare un’intesa che ci permetta di portare il nostro basket almeno in serie C, ma ci lavoreremo”.
Ora, finita la sbornia della massima serie nel calcio grazie ai mezzi di Silvio Berlusconi, cosa augurarsi? “Speriamo in un campionato di serie B di qualità – dice il sindaco –. Molti giocatori andranno, altri resteranno e la società dovrà decidere come muoversi. Mi auguro un campionato che, se non sul modello del Sassuolo, finito in B e oggi già certo di risalire in A, almeno rappresenti una cavalcata all’altezza del prestigio della nostra città”. Con quali soldi? Il modello è dietro l’angolo, nella rivale di sempre: “Vediamo il Como, con una società che ha deciso di investire e ha ottenuto buoni frutti. Ciò fa il paio con l’idea che ci si fa della città”.