
Arrivato in Italia dalla Guinea, si era integrato perfettamente e lavorava nello stesso posto da 25 anni
L’idea di quel viso tanto amato sfigurato dalla barra del tornio non dà pace alla famiglia di Mamadou Tourè, l’operaio italiano, nato in Guinea, morto lunedì nel capannone della Gusmar, a Monza. La tragedia ha fatto calare un silenzio irreparabile nella sua casa, a Lesmo, dove fino a poche ore fa, come ogni giorno, ad aspettarlo, c’erano la moglie 37enne e tre dei quattro figli, due bimbi alle elementari, in seconda e in quinta, e un ragazzo di 17 anni.
Il maggiore, 19, è atterrato ieri dall’Inghilterra, dove studia, sotto choc, come gli altri. Ha varcato la soglia con un peso sulle spalle che mai si sarebbe immaginato di dover portare. Il nido costruito con tanti sacrifici "da un cittadino modello" si sta già trasformando in una prigione di ricordi. Così la sindaca Sara Dossola parla dell’operaio, approdato a Modena da adolescente con un fratello e poi i loro percorsi si sono divisi: "Non aveva una virgola fuori posto". Dopo lo strappo con la terra madre aveva scelto di ricostruirsi una vita in Brianza, qui dove ci sono tante fabbriche aveva imparato il mestiere. Mamadou apparteneva a quella che nei reparti è un’aristocrazia, gente esperta, che sa sempre quel che fa: era in quel posto da 25 anni. Per questo l’incidente che se l’è potato via lascia in sospeso tanti interrogativi.
Nel salotto del suo appartamento l’atmosfera è irreale, la litania delle preghiere affida a Dio la speranza di riabbracciarsi nell’aldilà, non c’è spazio per rivangare il passato e, magari, maledirlo per come è finita. La povertà a fare da molla per un viaggio misterioso e un inizio più difficile di quanto non avesse creduto nei suoi sogni di ragazzo. Gli anni duri della gavetta, la diffidenza della gente, ma anche la solidarietà, il rischio di ritrovarsi sempre ai margini e quella voglia di rigare dritto come suggeriva certa cronaca per non avere problemi. Una reputazione costruita giorno dopo giorno con sudore e rinunce. E poi l’amore, il matrimonio e i bambini: era per loro che Mamadou si spaccava la schiena, non voleva che mancasse nulla. E non manca nulla: "Le rate della mensa sono a posto, non c’è una tassa su cui eccepire, niente di niente". Con queste parole la sindaca racconta la tragedia che irrompe nella storia di una famiglia come tutte, cambiandone per sempre il destino. Perché il papà che manca così presto è un’ipoteca sull’esistenza. "Basta parlare di cifre e statistiche, dietro a un morto sul lavoro c’è tutto questo, sentimenti che si spezzano", sussurra commossa Dossola. L’abbraccio con la moglie lascia il segno. Questa giovane donna, sola con quattro figli, non riesce a credere che il suo amore non tornerà più. E che a portarlo via sia stato quel che considerava "fare il proprio dovere". Mamadou Tuorè era un brianzolo. Il lavoro è stato il suo trampolino nel mondo, il biglietto per la libertà. Ha pagato la dedizione con la vita.