
Scende da 12 a 10 anni la condanna per Giuseppe Malaspina
Scende da 12 a 10 anni la condanna per Giuseppe Malaspina, inflitti 14 mesi ciascuno ai fratelli Carlo e Antonio e 1 anno al commercialista Salvatore Tamborino. Assolti invece nuovamente gli altri professionisti che erano stati ritenuti la “corte dei miracoli“ assoldata dal costruttore vimercatese per tentare di salvare il suo impero immobiliare milionario dal fallimento: l’avvocato ex giudice della sezione fallimentare monzese Gerardo Perillo, l’avvocata Fabiola Sclapari e il commercialista Antonio Ricchiuto (genero di Perillo). È la sentenza della Corte di Appello di Milano che per molti capi di imputazione ha ritenuto inammissibile il ricorso della Procura di Monza per "difetto di specificità" o per "carenza di interesse ad impugnare". I giudici milanesi hanno poi mandato per competenza territoriale a Milano un capo di imputazione contestato a Giuseppe Malaspina e hanno dichiarato numerose prescrizioni. Al processo di appello la Procura generale aveva chiesto la conferma della condanna a 12 anni di reclusione per Giuseppe Malaspina, 5 anni e 2 mesi per l’avvocata Sclapari e a 4 anni e mezzo ciascuno per Ricchiuto e Tamborino. Il Tribunale di Monza, nel condannare solo Giuseppe Malaspina, aveva accolto l’eccezione della difesa secondo cui non potevano essere utilizzate nei confronti degli imputati le intercettazioni telefoniche e ambientali precedenti al 2 novembre 2015. La scure giudiziaria, permessa da una sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite, impone che, se i magistrati indagano su un’ipotesi di reato per cui hanno ottenuto l’ok per le intercettazioni ed emergono altri presunti reati, devono farsi autorizzare le intercettazioni successive e non tenere conto di quelle precedenti. Nel caso dell’inchiesta su Malaspina, la Procura stava indagando da novembre 2014 sull’imprenditore per un’ipotesi di corruzione al Comune di Correzzana che poi non ha avuto seguito, ma solo un anno dopo ha chiesto le intercettazioni per indagare per bancarotta fraudolenta e reati fiscali e solo da quella data sono utilizzabili. Una ricostruzione che non vedeva concordi i pm monzesi, secondo cui esiste una connessione tra le due indagini che rendeva le intercettazioni utilizzabili perché già si parlava di società, fatture e soldi e che vedeva anche d’accordo la Procura generale, secondo cui le intercettazioni erano utilizzabili. Una questione che però è rimasta al margine (leggendo tra 90 giorni le motivazioni della sentenza di appello si potrà approfondire) di fronte alla decisione di ritenere in parte inammissibili i ricorsi della Procura monzese e retrocedere quindi alla sentenza di primo grado.