Monza – "Avevo 14 anni e il motorino. Allora l’autodromo faceva un abbonamento che durava un anno e tu potevi entrare tutti i giorni. Per il Gran premio
e ntravamo due settimane prima, che allora – una settimana prima della F1 - c’era la Formula 3. Avevamo le tende e ci accampavamo nel bosco della Prima variante dopo aver nascosto sotto terra il ponteggio".Renato Schmidt sfoglia l’album dei ricordi. "Foto” in bianco e nero di un ex ragazzino che oggi si ritrova dall’altra parte, a fare il direttore di gara del circuito. "Paradossalmente la F1 è la gara più semplice del mondo – confessa –, ma senza il mio braccio destro Oscar Comi e tutto lo staff non fai niente. C’è chi segue le telecamere, chi scrive tutto quello che succede e poi ci sono quelli della Fia. Loro sono in prima fila nella “sala regia” del Gran premio, le decisioni sono loro, ma ti chiedono sempre se è possibile farlo. Certo, a volte il pubblico non approva e capita che i fischi li sentiamo anche da qua dentro, ma pazienza. Ti senti un po’ come un arbitro di calcio".
Dalla ’race control’ al piano terra della palazzina box, attraverso una rete di 24 telecamere lungo il circuito, gestisce 200 commissari di percorso in pista, le tute arancioni. Più una trentina in corsia box, oltre a 80 dell’antincendio e altrettante del servizio medico per la pista. E "non puoi rilassarti nemmeno dopo la bandiera a scacchi". Ma la passione ripaga ogni sacrificio, ogni tensione, ogni spavento quando una macchina va a muro. Quella stessa passione che fin da bambino lo ha portato a scavalcare le reti, a correre nei kart per 16 anni, a diventare direttore di gara internazionale prima nei kart poi anche in Formula 1.
"La cosa stupenda dei kart – racconta – è che tanti campioni della F1 li ho visti nascere proprio da lì. Mi ricordo Alonso, Fisichella, Trulli. Poi Pantano. Rosberg, Hamilton, Liuzzi, Russel, Leclerc, Norris. Da bambini di 10 anni alla F1. E qualcuno si ricorda ancora di me sulle piste dei kart". E in fondo anche lui un po’ continua a sentirsi dentro "quel ragazzino appollaiato sul ponteggio in Prima variante".
Lui e suoi amici erano quelli che dovevano curare il posto, "mettevamo le targhette sulla rete lungo il circuito per dire che era occupato. Era la fine degli anni Settanta e poi tutti gli anni Ottanta. L’era del turbo. Macchine stupende". Poi "il giovedì sera del Gp arrivavano i “grandi” che montavano il ponteggio e guardavamo la gara da lì. Noi eravamo privilegiati perché avevamo il posto al quinto piano. Che vista. Alla mattina andavamo a scuola, a mezzogiorno tornavamo e stavamo lì. Ma poi questa magia è finita, è stato vietato il campeggio dentro l’autodromo e anche il montaggio dei ponteggi". Peccato, perché "era bellissimo, alla sera andavamo in Seconda variante che c’erano altri gruppi come noi, stavamo insieme, salamelle, birra, poi a Lesmo, stessa cosa. Si passavano le notti così".
Fin dal 1979, l’anno del suo primo Gran premio: "Ero piccolino e l’ho visto dal muretto sopra la Sopraelevata. Avevo 12 anni. Sono riuscito a scappar dentro anche se mia mamma non voleva, ma con due panini e una bottiglietta d’acqua sono riuscito a infilarmi dentro scavalcando la rete". Allora, pur di entrare, ti inventavi di tutto: "Un anno abbiamo provato dal curvone a Biassono, di notte, a far passare dentro un ponteggio a mano e portarlo in Prima variante". Emozioni indelebili, come quella di quando ha vinto Leclerc qui a Monza, nel 2019: "Non ho mai visto un entusiasmo così alle stelle. Ho pianto per due giorni dall’emozione. E io non sono ferrarista. Io tenevo per Manfred Winkelhock, pilota tedesco morto nel 1985 con una Porsche. Per me è finita lì". Oggi "tifo per tutti".