
La magione trecentesca ormai semi-diroccata è vicina alla cessione. La figlia della contessa Caglio era stata condannata per abbandono di riiuti.
"Hanno sempre voluto cacciarci e adesso finalmente forse me ne vado io". Alessandra Ricci, avvocata, sembra vicina a liberarsi di quello che ormai era diventato un peso.
Villa Caglio, dopo diversi tentativi di vendita andati a vuoto, addirittura regalata per dieci anni all’Università Statale di Milano senza che se ne facesse nulla tanto da essere costretti alla fine a riprendersela, sarebbe vicina alla cessione.
A dispetto del nome, la storica magione resta e sempre resterà nell’immaginario collettivo il Palazzo del Cigno Nero. Qui, in un edificio antico di storia (risale almeno al 1300) ma ormai in condizioni simi-diroccate, viveva infatti fino al 2016, quando è morta all’età di 86 anni, Marianna Augusta Moneta Caglio Monneret de Villard.
Una contessa, erede di una famiglia con antenati nobili, addirittura i proprietari della Zecca di Milano, un premio Nobel per la Pace (Teodoro Moneta), legata però anche a una storia maldetta. Negli anni Cinquanta, Marianna Caglio si ritrovò al centro di uno dei primi casi mediatici della storia italiana, quello relativo alla morte di Wilma Montesi, procace e bella ragazza ritrovata cadavere sulla spiaggia di Torvajanica. Marianna Moneta, a Roma anche per fare del cinema, svelò il mondo proibito che si nascondeva forse dietro a quella morte, le feste scapestrate della gioventù bene di Roma, a base di alcol e droghe. Al processo che ne seguì, su tutti i giornali la protagonista diventò la supertestimone Marianna Caglio, soprannominata Il Cigno Nero, per il suo collo alla Modì e la erre arrotata.
Finì tutto in nulla. Un ministro fu costretto a dimettersi, ma l’unica persona condannata (per diffamazione) al termine di quel processo fu proprio il Cigno Nero. Che si portò dietro il peso di quella vicenda per tutta la vita.
Anche a Caponago, dove a metà egli anni Novanta era venuta a vivere con la figlia Alessandra nell’antico palazzo di famiglia.
"Dispetti, maldicenze, invidia: tranne pochi fidati amici, la nostra vita qui è stata molto difficile" dice ancora Alessandra Ricci.
L’ultimo capitolo si è vissuto lo scorso anno, quando è arrivata a sentenza una causa civile intentata dall’Amministrazione comunale di Caponago per abbandono di rifiuti. Con una condanna a due mesi di arresto con la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna, ma subordinata al pagamento di una provvisionale di 10mila euro sul risarcimento dei danni al Comune per quella villa lasciata cadere a pezzi. Al centro, anche un muro pericolante ("eppure è ancora in piedi") su vicolo San Gregorio e via Santa Giuliana. Fa spallucce Alessandra Ricci, "mi sono sentita accusare di tutto, addirittura di aver ucciso mia madre: attendo ancora la perizia di quel processo. Vogliono anche 60mila euro per qualche albero che sono venuti a tagliare".
Tramontato il sogno di farci un centro di studi internazionali con l’Università, una biblioteca, ma anche una residenza per anziani, respinta invece sempre l’ipotesi "di darla in mano a un palazzinar””, ora c’è un progetto importante, firmato dagli architetti Gianfranco Colombo ed Erica Riva. Che punta anche a conservare la cosiddetta "anima ribelle" dell’edificio restaurando almeno parzialmente alcune parti del palazzo. "Questa era una villa di delizia - spiegava la proprietaria - ci sono due piani da 750 metri quadrati l’uno, soffitti alti sei metri, un pavimento in cotto che risale al Seicento, boiserie in legno intarsiato e cassettoni istoriati e una torretta di 300 metri quadri".
Quanto costerà? La chiusura dell’affare sembra vicina, i sopralluoghi sono stati fatti, la Soprintendenza informata, ma di cifre Alessandra Ricci preferisce non parlare. Almeno per il momento.