
Girolamo “Gino” Gallo il giorno del matrimonio con Lucia Monteduro al rientro dalla prigionia. Poi la nuova vita in Brianza
GIUSSANO – “Ci guardavamo in faccia fra (ex) amici”. Gino e i suoi compagni sono tesi. L’Italia ha appena firmato l’armistizio con le truppe alleate. E all’isola di Rodi, dove sono di stanza, si ritrovano da un giorno con l’altro dalla parte opposta delle barricate con quelli che sino al giorno prima erano i loro alleati. Film come Mediterraneo di Salvatores hanno già provato a raccontare qualcosa di quei momenti, ma Girolamo “Gino” Gallo non è in un film. È nella vita vera.
Figlio di contadini, è nato a Mestre, in provincia di Venezia, il 24 febbraio del 1916. Nel 1937, a 21 anni, è partito per il servizio militare. Allora, si trattava di trascorrere due anni sotto le Armi. Inviato a Rodi, allora Italia, Gino ritorna a casa nel 1939, ma dura poco. Dopo pochi mesi viene “richiamato” per la possibile imminente guerra che sta per scoppiare e viene inviato di nuovo a Rodi.
E qui vivrà i giorni più difficili della sua esistenza. Li racconta lui stesso nel suo diario. “Coraggio e sangue freddo” annota con grafia chiara ed elegante poco prima che inizino gli scontri con i Tedeschi. “Ognuno al posto di combattimento… trovandomi a 300 metri da un centro di fuoco Tedesco comincia(no) a tuonare i cannoni Italiani…. Le nostre mitragliatrici… cantavano come tanti usignoli. Fra valli e monti si scatena un Vulcano di ferro e fuoco…”.
Prosa da letterato, Gino racconta i violenti scontri a fuoco con i Tedeschi. Finirà male. Catturato e internato nel campo di concentramento di Ousgurou (Rodi) il 15 settembre, contrae un’infezione che dà luogo a un violento stato febbrile scambiato per febbre tifoidea. Quando i Tedeschi decidono che avrebbe potuto affrontare il viaggio, viene imbarcato su una nave-prigionieri diretta a un porto dell’Adriatico dove i prigionieri sarebbero stati fatti salire sui treni che dovevano portarli ai campi di concentramento e lavoro in Germania o Polonia. Non andrà così, per sua fortuna. Durante la navigazione da Rodi all’Italia, la nave tedesca incontra una nave inglese con la quale scoppia una violenta battaglia che vedrà vincitori gli Inglesi. È la salvezza. La nave inglese prende a bordo i prigionieri italiani e li sbarca nel porto più vicino, quello di Brindisi, nell’Italia già liberata.
Gino Gallo viene ricoverato all’ospedale civile della città. Vi resterà per oltre due mesi, dopodiché verrà inviato in convalescenza a Corigliano d’Otranto, in provincia di Lecce, che lascerà, dopo altri due mesi, per essere trasferito in un centro raccolta ex prigionieri a Tricase. Ed è qui che conosce una bella ragazza, la figlia dei padroni di un bar-trattoria: si chiama Lucia Monteduro e Gino le promette che tornerà a sposarla appena possibile. E Gino è un uomo di parola. Messo in congedo nell’ottobre 1945, fa ritorno a Mestre, da mamma e papà, che lavorano come mezzadri nei campi dopo un viaggio faticosissimo in mezzo a un’Italia coperta di macerie. Ma non dimentica le promesse. E nel 1946, dopo 1 anno, 1 mese e 1 giorno, come in una favola, torna a Tricase a sposare Lucia Monteduro. Il suocero, Albino, era morto nella prima guerra mondiale, dopo la quale gli era stata conferita la medaglia d’oro. Gino e Lucia avranno tre figli: Pietro, Paolo, Luigi. Nel 1951, con la sua nuova famiglia, si trasferisce a Mariano Comense e successivamente a Giussano. Di professione farà il conduttore di caldaie.
In pensione dal 1976, morirà a Giussano nel gennaio 1999, poco prima di compiere 83 anni.Il 2 agosto 1966 il distretto militare di Venezia gli aveva concesso la Croce “al merito di guerra”. E ora questa nuova medaglia postuma.Con gli occhi che luccicano, anche il figlio maggiore, Pietro, che oggi è una persona molto nota a Giussano per la sua generosità come presidente della sezione locale dell’Associazione italiana donatori organi, era alla consegna della medaglia in Prefettura con i suoi fratelli.
“Ringrazio lo storico giussanese Carlo Sironi, che ha ricostruito questa storia”.