DARIO CRIPPA
Cronaca

La vita di Alaa, il terrorista di Monza: la moglie, i quattro figli e gli amici del centro islamico

La via Doberdò è una strettissima strada di periferia. Quartiere San Rocco, sud di Monza. Un gruppo di palazzine a tre piani linde e pulite, 50 famiglie cadauna, 200 abitanti...

A sinistra la casa di via Doberdò nel quartiere San Rocco a Monza dove vive Alaa Refaei

A sinistra la casa di via Doberdò nel quartiere San Rocco a Monza dove vive Alaa Refaei

MONZA – La via Doberdò è una strettissima strada di periferia. Quartiere San Rocco, sud di Monza. Un gruppo di palazzine a tre piani linde e pulite, 50 famiglie cadauna, 200 abitanti circa in totale. Quasi tutti italiani. Alaa Refaei, 43 anni, egiziano, vive lì (anche se sul citofono c’è scritto Reffaei).

Dovrebbe abitare con moglie e quattro figli, uno piccolo. Sullo stesso citofono è riportato un altro cognome, Elsayed. Lo stesso cognome del “collega” estremista arrestato ieri assieme a lui. Al citofono risponde una voce femminile, ma non dice nulla, si limita ad aprire il cancello. Anche se i vicini qui si fanno i fatti propri e strabuzzano gli occhi quando vengono a sapere che un loro vicino inneggiava su Facebook allo Stato Islamico.

Solo un ragazzino si ferma a parlare. "Stanotte non dormirò, abbiamo parlato proprio questa mattina a scuola di Hamas e terrorismo" racconta. E non sta scherzando, ma subito si fa prudente: "Comunque io non ne so nulla, quando incontro i figli li saluto e basta".  "Mai avuto nessun problema, qui c’è qualche arabo - sintetizza un anziano - tutta brava gente, che lavora…".

Stupore anche da Fouad Selim. Algerino, da oltre una ventina d’anni è il referente del Centro Islamico di Monza e Brianza. Perfettamente integrato, figli in una scuola cattolica, imprenditore. "Mai sentito nominare, mi informerò – promette –. Ho letto che inneggiavano all’Isis, ma l’Isis non c’è più, chi ne ha più sentito parlare? Comunque l’estremismo purtroppo esiste sempre e noi dobbiamo continuare a combatterlo. Mai abbassare la guardia".

Al Centro Islamico di Monza, in via Ghilini, si ritrovano quotidianamente a pregare una cinquantina di persone. Nei momenti di festa 450, mille al Ramadan. Anni fa, un altro aspirante terrorista era stato arrestato ed espulso. "Voglio il martirio", giurava su Internet. Alla fine aveva guadagnato solo un volo speciale per la Tunisia. Si chiamava Kamel, aveva 38 anni e regolare permesso di soggiorno timbrato dal commissariato di polizia di Monza, soprattutto una famiglia a pezzi. La moglie lo aveva piantato e lui diceva che voleva ammazzarla, per paura che facesse "dei suoi figli minorenni dei cristiani". E si era radicalizzato intrattenendo rapporti con un altro tunisino, da qualche tempo passato nelle fila dell’Isis.

I primi a denunciarlo erano stati gli altri musulmani che frequentavano il centro islamico di Monza. E sempre in Brianza, la memoria non può non tornare al 2008, quando a Giussano, minuscolo paese della provincia, erano stati arrestati quelli che erano stati definiti "i terroristi della porta accanto", sorpresi a preparare attentati in mezza Brianza e a Milano: volevano far saltare in aria obiettivi civili e militari precisi, tanto da aver scaricato dal computer le istruzioni per fabbricare una bomba. Dopo un anno e otto mesi di detenzione erano stati assolti: i loro progetti erano soltanto "chiacchiere".