Palazzo Bagatti Valsecchi porta “I tempi del Bello” a Domodossola

Oltre quaranta opere dal mondo classico all’età contemporanea in mostra ai musei civici nell’esposizione curata da Antonio D’Amico con Stefano Papetti e Federico Troletti. Allestimento milanese con Studio Lys e le luci di LightSceneStudio

Un'immagine dell'allestimento de "I tempi del Bello" (Michela Piccinini)

Un'immagine dell'allestimento de "I tempi del Bello" (Michela Piccinini)

Milano, 30 settembre 2024 – Mondo classico, barocco e pittura contemporanea. Un’esposizione che riflette sul concetto di “bello”, le sue radici e la sua evoluzione nel panorama artistico. Un’idea che è sì forma, ma anche sostanza del valore spirituale che la innerva. Palazzo Bagatti Valsecchi, la casa museo milanese di via Gesù, fra le più importanti d’Europa, collabora con i musei civici Gian Giacomo Galletti di Domodossola per la mostra “I tempi del Bello – Tra mondo classico, Guido Reni e Magritte”, ospitata nel capoluogo ossolano a Palazzo San Francesco. Al timone – ideatore e curatore della rassegna – c’è Antonio D’Amico, insieme a Stefano Papetti e Federico Troletti. 

L’orizzonte

Il poeta Giacomo Leopardi individua il “Tempo del Bello” nella Grecia del V secolo avanti Cristo quando artisti come Fidia, Mirone e Policleto interpretavano il concetto di bellezza come frutto di un equilibrio di valori estetici ed etici, espresso dal termine kalokagathìa.

All’interno della suggestiva cornice di Palazzo San Francesco, le oltre quaranta opere, tra dipinti e sculture in marmo e bronzo, provenienti da importanti musei italiani e prestigiose collezioni private, raccontano i vari “Tempi del Bello”, ovvero la ricerca, sulla scorta dei modelli classici, di un connubio di bellezza formale e valori spirituali, che attraversa la storia dell’arte, adattandosi alle esigenze culturali di ogni epoca.

Le opere

L'annunciazione di Guido Reni
L'annunciazione di Guido Reni

Tra i grandi protagonisti della mostra di Domodossola, che torna a produrre e proporre al grande pubblico un percorso di ricerca e studio trasversale tra i secoli, si potrà ammirare il “divino” Guido Reni, che nell’arte europea del Seicento rappresenta il paladino della classicità, in contrapposizione alla teatralità dell’arte barocca e al naturalismo caravaggesco.

Per questa occasione arrivano a Domodossola l’Annunciazione della Pinacoteca Civica di Ascoli Piceno, uno dei capolavori del grande maestro bolognese, e il San Sebastiano di collezione privata.

L’eleganza formale della Vergine e dell’angelo nell’imponente pala d’altare, e la torsione scultorea del busto nel giovane santo, testimoniano come nella Bologna del Seicento la conoscenza della statuaria classica e il mito di Raffaello, che aveva fatto rivivere la bellezza antica, trovino una perfetta declinazione in linea con la cultura del tempo.

Il modello

Ludovico Carracci, San Sebastiano legato alla colonna (1599)
Ludovico Carracci, San Sebastiano legato alla colonna (1599)

È questa un’eredità che Guido Reni raccoglie dai Carracci. Infatti, in mostra si potrà ammirare eccezionalmente lo straordinario capolavoro proveniente dalla Pinacoteca della Fondazione Ettore Pomarici Santomasi di Gravina di Puglia, che Ludovico Carracci dipinge sul finire del Cinquecento, mostrando l’immagine del San Sebastiano come un moderno Apollo, un danzatore che si muove leggiadro nel pieno vigore della sua bellezza fisica.

Nessun artista è insensibile al fascino della classicità, come dimostra l’attenzione con cui Rubens, giunto a Roma da Mantova agli albori del Seicento, adatta i modelli scultori studiati nelle raccolte principesche romane alle esigenze iconografiche imposte dalla committenza.

Nell’impaginare la grandiosa Madonna del Rosario, documentata in mostra da un raro bozzetto in collezione privata, l’artista fiammingo aggiorna in chiave barocca atteggiamenti e gesti che possono ricondursi ai modelli classici.

Il canone neoclassicista

Paolina Bonaparte Borghese ritratta da Antonio Canova
Paolina Bonaparte Borghese ritratta da Antonio Canova

In seguito allo scalpore suscitato tra il 1730 e il 1740 dall’inatteso ritrovamento dei resti di Ercolano e Pompei, i teorici dell’arte neoclassica recuperano il concetto della kalokagathìa tornando nuovamente ad associare i principi di ordine, armonia, compostezza e “quieta grandezza”, come afferma il filosofo tedesco Johann Joachim Winckelmann, con i più elevati valori morali.

Leopardi stesso riconosce in Antonio Canova l’artista che meglio incarna nelle proprie opere questo connubio di bellezza e nobili sentimenti che mira a raggiungere il bello ideale. Il Ritratto di Paolina Bonaparte, che arriva in mostra dal Museo Napoleonico di Roma, raffigura il viso perfetto della sorella di Napoleone come Venere Vincitrice, esempio di come la celebrazione del passato e l’uso dei temi della mitologia classica si pongano, in questo caso, al servizio del potere, assumendo intenti celebrativi e educativi.

L’impronta eclettica che caratterizza l’arte italiana nel periodo post-unitario non esclude né in campo architettonico, né nell’ambito figurativo episodi di spiccato richiamo alla tradizione greco romana: lo dimostra lo scultore genovese Demetrio Paernio, autore di numerosi monumenti funerari nel cimitero di Staglieno, che celebra l’arte alessandrina modellando una delle figure più leziose della classicità, come il Puttino dormiente. Cambia il soggetto ma non la formulazione dell’immagine ispirata nella tela del genovese Domenico Piola che raffigura Gesù Bambino addormentato sulla Croce.

Sono inoltre esposte varie sculture rinascimentali di piccolo formato che documentano il gusto del collezionismo e la passione per l’Antico sviluppatisi in particolare dopo le scoperte archeologiche di primo Cinquecento.

L’epoca contemporanea

René Magritte, Rena à la fenetre (1937)
René Magritte, Rena à la fenetre (1937)

Dopo l’esperienza rivoluzionaria delle Avanguardie che avevano decretato la fine della classicità, nei primi due decenni del Novecento, in seguito ai traumi causati dalla prima guerra mondiale, nel 1924 il critico francese Maurice Rejnal auspicava un ripensamento rispetto alle posizioni anti classiche, sostenendo la necessità di un “Ritorno all’Ordine” che si ravvisa nelle opere di Funi, Campigli, Sironi, de Chirico e Magritte che esprimono il desiderio di riaffermare il perenne valore della classicità sulla scorta dell’indirizzo teorico di Margherita Sarfatti.

Di questi artisti la mostra offre significativi esempi accostati tra loro e in dialogo con le opere rinascimentali e classiche. Tra tutti si potrà ammirare eccezionalmente l’affascinante capolavoro di Renè Magritte, Rena à la fenệtre del 1937, di collezione privata.

Ogni epoca declina un tempo del Bello e la mostra di Domodossola tenta di presentare anche con un intento didattico, particolarmente adatto alle scuole, alcuni eloquenti esempi che rendono immortale la bellezza classica, dal tardo Rinascimento al Novecento, evidenziando modelli che gli artisti fanno propri, ma adeguandoli alle esigenze culturali in auge nei diversi momenti storici.

L’importanza dell’illuminazione

Anche allestimento e illuminazione hanno un’impronta milanese, essendo state curate da due realtà milanesi giovani ma già parecchio apprezzate per i loro lavori. L’allestimento della mostra è stato progettato da Studio Lys con il coordinamento di Matteo Fiorini, il progetto illuminotecnico è di LightScene Studio con Riccardo Rocco e Luca Moreni, mentre l’illuminazione è stata aggiornata e realizzata in collaborazione con Viabizzuno.