NICOLA PALMA
Cronaca

"Gli usurai dei clan puntano ai locali di Milano. Vogliono colonizzare tutto il centro"

L’allarme del capo della Dda Dolci nella relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia Il sistema degli strozzini: prestiti come false fatturazioni

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Milano - «Gli usurai vogliono direttamente l’attività commerciale che la loro vittima non riesce più a mantenere, perché per loro è un presidio sul territorio, sul quartiere, più importante del denaro. Questi sono i loro piccoli affari. In grande, vogliono colonizzare i locali del centro di Milano". E ancora: "L’usura è destinata a crescere con la crisi economica, la criminalità organizzata rileverà le attività economiche anche a prezzi zero o stracciati". A (ri)lanciare l’allarme sugli appetiti della ’ndrangheta all’ombra della Madonnina è il capo della Dda Alessandra Dolci, come riportato nel report semestrale della Direzione investigativa antimafia, riferito al periodo gennaio-giugno 2021.

Secondo gli analisti del centro operativo di via Cordusio, coordinati dal colonnello Nicola Bia, i clan hanno affidato ai loro strozzini un compito fondamentale per lo sviluppo "imprenditoriale" dell’organizzazione: incassare soldi come "capitale di partenza per generare ulteriori profitti, senza trascurare la possibilità di riciclaggio mediante canali legali e illegali dei capitali illecitamente accumulati". Come vengono erogati i prestiti a tassi insostenibili? Mascherandoli "tramite false fatturazioni emesse da società di copertura". In questo modo, "i ricavi vengono contabilizzati all’interno dei bilanci societari, andando a costituire un patrimonio apparentemente lecito – si legge ancora nella relazione presentata al Parlamento –. Inoltre, con l’usura l’organizzazione mafiosa può richiedere a un imprenditore insolvente in cambio della somma a suo debito la cessione di quote societarie o dell’intera impresa. Si tratta di uno schema classico e collaudato, che consente ai sodalizi di mettere a punto la propria strategia di espansione nel perimetro dell’economia paralegale".

Il tutto approfittando del fatto che in Lombardia (e non solo) le vittime hanno particolare ritrosia a denunciare questo genere di reati, rendendoli sotterranei e "di non facile e immediata rilevazione". E che la mafia, in particolare quella calabrese (con 8 propaggini tra città e hinterland sulle 25 regionali), abbia completato la mutazione – preferendo la versione "imprenditrice" a quella che privilegia "la visione militare di penetrazione del territorio" (per dirla con le parole del questore Giuseppe Petronzi) – si evince pure dal numero di interdittive antimafia notificate in sei mesi dalle Prefetture del distretto di Milano: 20, di cui ben 15 destinate a imprese legate alla ’ndrangheta. Non solo ’ndrangheta, però. "Le organizzazioni criminali siciliane e campane – proseguono gli esperti della Dia – conserverebbero un assetto meno percepibile, destando quindi un più contenuto allarme sociale particolarmente funzionale al raggiungimento di una gestione maggiormente qualificata di attività economico-finanziarie".

La camorra , ad esempio, "evita forme di violenza, preferendo una strategia rivolta all’infiltrazione nell’economia legale con un modus operandi di tipo imprenditoriale improntato al reinvestimento e al riciclaggio dei proventi illeciti". E la mafia? Tre le inchieste che h anno riguardato clan siciliani con interessi in Lombardia: "Follow the money" della Dda di Catania sugli Scalisi di Adrano (legati ai Laudani); "Mani in pasta" della Dda di Palermo sugli investimenti al Nord della famiglia Fontana; e un’operazione della Finanza di Pescara che ha portato all’arresto di tre persone (tra cui il figlio di un boss ucciso a Cesano Boscone nel 1979) per un traffico di droga verso l’Abruzzo.