
Il sindaco Beppe Sala, a destra la Torre Milano, il grattacielo di via Stresa
Milano, 5 giugno 2025 – Anche il sindaco Giuseppe Sala sarà chiamato come testimone. La decisione è della giudice Paola Braggion nel processo su “Torre Milano”, l’edificio residenziale di 24 piani completato nel 2023 in via Stresa, primo caso giudiziario del filone sull’urbanistica, giunto alla seconda udienza dibattimentale. “E sono ben lieto di essere stato chiamato - ha detto il sindaco a margine di un appuntamento pubblico - perché sul tema voglio continuare a dire la mia”.
L’inchiesta è aperta per abuso edilizio, lottizzazione abusiva e falso a carico di 8 imputati, tra cui i costruttori Stefano e Carlo Rusconi, legali rappresentanti della società Opm (responsabile civile con il legale Lodovico Mangiarotti), Gianni Maria Ermanno Beretta dell’omonimo studio di architettura come progettista e direttore lavori, gli ex dirigenti di Palazzo Marino Giovanni Oggioni, già componente della commissione paesaggio e finito ai domiciliari anche per corruzione in un altro filone delle indagini, Franco Zinna, ex responsabile della Direzione Urbanistica e tre funzionari dello Sportello Unico Edilizia.
Il Tribunale ha ammesso tutti i testimoni citati dalle parti, tra cui appunto Sala, teste chiesto dalle difese, così come le ex ministre del governo Conte, Fabiana Dadone e Paola De Micheli. Il falso, contestato a Beretta, è andato in prescrizione e l’abuso d’ufficio è stato cancellato per l’abrogazione operata dalla legge Nordio. Parte civile non è il Comune di Milano, che invece, è parte offesa, ma una rappresentante del comitato dei cittadini che protestò, capofila, contro il progetto del palazzo, che avrebbe comportato disagi per gli altri residenti, tra cui “due ore di luce in meno al giorno”.
Per i pm del pool che si occupa del filone “urbanistica“ Marina Petruzzella, Paolo Filippini e Mauro Clerici, quell’intervento era stato qualificato come “ristrutturazione edilizia, con totale demolizione, ricostruzione e recupero integrale della superficie lorda di pavimento preesistente”, anziché “nuova costruzione”, quindi bypassando le regole sulle volumetrie diverse e la necessità di un piano attuativo.
In base alle imputazioni, inoltre, gli ex dirigenti comunali, con una “determina dirigenziale” del 2018 che non tenne conto appunto del fatto che si trattava di un edificio di nuova costruzione, avrebbero procurato un “ingiusto vantaggio economico agli imprenditori-costruttori”.
La linea di difesa degli imprenditori, fino ad ora è stata quella di richiamarsi al principio di “buona fede”, in base alle indicazioni date dal Comune, per anni le stesse, in modalità quindi ritenute “consolidate“. In realtà, questa linea difensiva ha già mostrato parecchi punti deboli, se consideriamo che proprio una settimana fa la presidente della decima sezione penale, Antonella Bertoja, ha respinto la richiesta della difesa di prosciogliere tre imprenditori, contestando proprio la buona fede e spiegando che “non è invocabile la buona fede dei costruttori dovendo gli operatori, in materia urbanistica ed edilizia, porre in essere tutte le possibilità per conformare l’azione alle regole che governano la materia”.
Il caso in esame alla giudice Bertoja era quello relativo al cantiere di via Fauché, noto come il “palazzo dentro il cortile“. Il cantiere era partito nell’ottobre 2022 per realizzare una palazzina di 3 piani, di cui 2 fuori terra, in sostituzione di un laboratorio che avrebbe violato i limiti in altezza all’interno dei cortili stabiliti dal pgt del Comune. Inoltre, la palazzina era stata autorizzata con una scia come “ristrutturazione edilizia” non come “nuova costruzione”, nonostante la palazzina fosse “priva di qualsiasi connessione” con l’edificio preesistente. Quello di via Fauchè è il quarto cantiere di Milano che approda davanti ai giudici.