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Morte di Ramy Elgaml, il giudice: inseguimento doveroso da parte dei carabinieri

Il giudizio nelle motivazioni della sentenza che condanna in primo grado l’amico Fares Bouzidi, alla guida dello scooter che si schiantò. Gli insulti agli occupanti della due ruote? “Frasi forti, ma legate all’adrenalina. E la condotta successiva all’urto li assolve anche su questo fronte”

Un murales dedicato a Ramy Elgaml, morto la notte del 24 novembre 2024. Alla guida dello scooter c’era Fares Bouzidi

Un murales dedicato a Ramy Elgaml, morto la notte del 24 novembre 2024. Alla guida dello scooter c’era Fares Bouzidi

Milano, 13 settembre 2025 – Un inseguimento “legale e doveroso”, ritenuto espressione “dell’adempimento di un dovere istituzionale” di fronte a chi con una guida sempre più estrema ha messo in pericolo la propria vita, quella di ignari cittadini e degli stessi carabinieri impegnati a bloccarne la fuga.

È con queste motivazioni che il giudice Fabrizio Filice ha motivato la condanna a 2 anni e 8 mesi per resistenza a pubblico ufficiale inflitta a giugno in abbreviato a Fares Bouzidi, il ventiduenne alla guida dello scooter che si schiantò in via Quaranta la notte del 24 novembre 2024; dietro di lui era seduto l’amico ventenne Ramy Elgaml, che morì nell’impatto.

Nella sentenza è stato ripercorso l’inseguimento partito in viale Monte Grappa e proseguito per 8 chilometri, fino all’uscita di strada del T-Max. Fu la fuga, ha spiegato il gup, “ad attivare l’obbligo degli agenti di polizia (in realtà militari del Radiomobile, ndr) di intervenire per arrestarla, indipendentemente dalla motivazione che ha spinto il soggetto agente a realizzarla”; anzi “è perfettamente concepibile che gli agenti, di fronte a una condotta così estrema, abbiano ipotizzato una ragione della fuga più grave di quella che è poi risultata essere la ragione effettiva (la guida senza patente, ndr), e abbiano in questo senso interpretato alcuni indizi sospetti riscontrati” dopo. Vale a dire: il passamontagna indossato da Fares e il possesso di 850 euro e di una bomboletta di spray al peperoncino.

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Fares Bouzidi

Per il giudice, poi, le espressioni utilizzate dai carabinieri tra loro durante l’inseguimento sono sì “obiettivamente forti” come “vaffa... non è caduto” o “speriamo si schiantino sti pezzi di m...”, ma “devono essere contestualizzate nella tensione e nell’adrenalina del momento, essendo esclamazioni pronunciate dagli agenti durante un inseguimento che, a causa della condotta di guida dell’imputato, assumeva connotazioni sempre più estreme e rischiose per tutti, pubblici ufficiali compresi”. Del resto, tali esclamazioni “non si sono tradotte in alcun atto di ostilità”: i carabinieri hanno “immediatamente chiamato i soccorsi e nell’attesa”, mentre uno tentava una disperata manovra di rianimazione su Ramy; e “altri sono rimasti accanto all’imputato, che era semicosciente, e hanno cercato di rassicurarlo”.

Per i sei carabinieri parti civili nel processo, è stato stabilito un risarcimento di duemila euro ciascuno. I militari, si legge ancora nelle motivazioni, “hanno avuto ben chiara la percezione di grave pericolo per la vita propria, dei soggetti inseguiti e della generalità degli utenti stradali”; senza dimenticare “lo stress psicoemotivo dovuto al seguito mediatico che ha avuto la vicenda e alla conseguente esposizione degli agenti di polizia (carabinieri, ndr), che sono stati sottoposti, in seguito a questi eventi, a una notevole pressione mediatica e, in alcuni casi, a un vero e proprio hate speech”. Sia Bouzidi che il carabiniere alla guida della Giulietta che tallonava più da vicino il T-Max sono stati accusati dalla Procura dell’omicidio stradale di Ramy; altri quattro militari rischiano il processo per depistaggio.