
La stazione ferroviaria di San Zenone, nel Milanese
Milano, 12 settembre 2025 – "Un ragazzo tranquillo, con tanta voglia di imparare. Siamo tutti scioccati, questa notizia ci ha sconvolti". Non si capacita Bledjan Beshiraj, il direttore della Fondazione Fratelli di San Francesco d’Assisi che ha accolto nella struttura milanese di via Saponaro Harouna Sangare, il venticinquenne originario del Mali fermato per violenza sessuale su una ragazza di 18 anni avvenuta il 30 agosto a San Zenone al Lambro, dove si trova un altro centro della Fondazione. Sangare quel giorno aveva lavorato in quella sede.

Quali erano le mansioni del 25enne? "Si occupava di diverse attività: carico e scarico delle merci, aiuto cuoco in cucina, sistemazione degli ambienti. Parla pochissimo l’italiano, quindi cercavamo di coinvolgerlo il più possibile facendolo stare a contatto con più persone in modo che avesse tante occasioni di comunicare".
Dopo il 30 agosto ha notato qualcosa? Si comportava in maniera diversa? "No, per niente. Non c’era alcun segnale che potesse insospettirmi, era quello di sempre. Si comportava come se nulla fosse successo, presentandosi puntuale quando iniziavano i suoi turni. La routine quotidiana era quella di sempre".
Quando ha saputo del fermo? "Oggi (ieri per chi legge, ndr) ma già all’alba del 31 agosto ho saputo che c’era stata una violenza. I carabinieri sono venuti subito, alle 5 del mattino, per indagare sul territorio. Fin dal primo momento in cui le forze dell’ordine hanno avviato le indagini, la Fondazione si è messa a completa disposizione per contribuire a fare piena luce sull’accaduto nel più breve tempo possibile. Io stesso ho fornito alle autorità tutto il materiale video delle telecamere di videosorveglianza, che ha permesso di ricostruire i movimenti degli ospiti. In più ho dato il mio pieno e incondizionato consenso affinché a tutti gli ospiti della struttura fosse effettuato il prelievo del dna. Questo ha fatto la differenza".
Quando nelle immagini è spuntata la sagoma di Sangare, cos’ha pensato? "È stata una doccia fredda. Ma non solo per me. Il fatto che il presunto responsabile di un atto così efferato sia un nostro ospite ha lasciato tutti noi della Fondazione increduli e profondamente scossi. La nostra missione è sempre stata quella di offrire un percorso di accoglienza, inclusione e recupero, basato su principi di legalità e responsabilità sociale, e un episodio di tale gravità rappresenta un tradimento dei valori su cui si fonda il nostro operato e ai quali richiediamo ai nostri ospiti di aderire. Condanniamo con la massima fermezza questo crimine, continueremo a collaborare con le forze dell’ordine offrendo qualsiasi supporto necessario per garantire che giustizia sia fatta e che episodi del genere non possano ripetersi".
Finora, Sangare si era ben integrato? "Sì. Avevamo tracciato un percorso per lui, per aiutarlo a conquistare l’autonomia. L’apprendimento della lingua sarebbe stato il primo passo per poter trovare un lavoro anche al di fuori della Fondazione, in un futuro. In più, lavorare nel centro gli consentiva di imparare stando a contatto con tante persone. In otto mesi si era sempre comportato bene".