
Una delle officine utilizzate dalla banda per “ripulire“ le auto rubate cambiando numero di telaio e sostituendo la targa
La banda specializzata in furti d’auto era ben organizzata: ognuno con il suo ruolo, a ciascuno il proprio compito. C’era chi rubava le auto, chi le portava nei capannoni, altri dovevano smontare le targhe e mettere quelle nuove, false o clonate. Persino un commissario di polizia locale aveva un incarico all’interno del gruppo criminale: controllare le telecamere del comune dove lavorava, avvisare i componenti della banda di eventuali indagini in corso e dare informazioni utili per mettere a segno i furti.
I carabinieri di Corsico, i militari della Sezione operativa del Norm e quelli delle stazioni locali, sono riusciti a individuare tutti i responsabili. In sei sono finiti in carcere, a San Vittore, con le accuse di associazione a delinquere finalizzata al furto, ricettazione e riciclaggio di auto. Altri 14 sono indagati, tra cui un commissario capo della polizia locale di Cesano Boscone, dove avvenivano la maggior parte dei furti e dove vivevano due dei sei arrestati: Mario Paglione, 63 anni, e Sergio Concetto Longo, detto “Ciccio“, 61 anni. Gli altri finiti in manette sono Osvaldo Spalenza, detto “Baldo“, 62 anni di Albairate, Alessandro “Sandrino“ Pingitore, 51enne di Milano, Carmine e Salvatore Cacace, il primo 57enne di Spino D’Adda e il secondo ventiseienne di Arcene, provincia di Bergamo.
Secondo le indagini dell’operazione "Missing cars" dei carabinieri, da settembre 2022 a dicembre 2024, la banda avrebbe commesso 33 furti e 20 episodi di ricettazione o riciclaggio. La modalità era sempre la stessa: Paglione era l’organizzatore e procacciatore dei veicoli e portava le auto in officine e capannoni messi a disposizione dagli indagati, tra Albairate (dove c’era quello di Spalenza), Cesano Boscone e Trezzano sul Naviglio. A rubarle, ci pensavano Longo e i Cacace, seguendo le indicazioni di Paglione. Pingitore si occupava di togliere le targhe e sempre Paglione si procurava le centraline per poter commettere i furti. Ognuno aveva la sua competenza, si legge nelle carte dell’inchiesta, avvalendosi di strumenti per lo scasso, di una fitta rete di acquirenti delle auto rubate o delle parti asportate nei capannoni, e della complicità del commissario capo della polizia locale di Cesano che informava il gruppo di accertamenti in corso, avvertiva del posizionamento delle telecamere sul territorio dove lavorava e i limiti di ripresa, così da agevolare i furti, oltre a fornire informazioni sulle targhe clonate e sui numeri di telaio. Tra gli indagati, per riciclaggio, compare anche Daniele Cataldo, personaggio legato ai capi della Curva Sud e a Luca Lucci (capo ultrà rossonero arrestato nella maxi inchiesta sulle curve milanesi): aveva ricevuto un Fiat Fiorino rubato dal gruppo di specialisti.