REDAZIONE MILANO

In Palestina dalla parte dei bambini: "Qui il diritto a curarsi è cancellato. Per i piccoli il futuro è solo paura"

Lo psicologo Damiano Rizzi, responsabile del centro per l’infanzia di Soleterre in Cisgiordania "Proviamo a guarire le ferite più gravi, quelle invisibili: senza affrontare i traumi, la guerra non finisce mai".

Lo psicologo Damiano Rizzi, responsabile del centro per l’infanzia di Soleterre in Cisgiordania "Proviamo a guarire le ferite più gravi, quelle invisibili: senza affrontare i traumi, la guerra non finisce mai".

Lo psicologo Damiano Rizzi, responsabile del centro per l’infanzia di Soleterre in Cisgiordania "Proviamo a guarire le ferite più gravi, quelle invisibili: senza affrontare i traumi, la guerra non finisce mai".

"Abbiamo creato questo centro perché in Palestina i bambini, a causa dei conflitti, crescono credendo che esprimere le proprie emozioni sia pericoloso". Ed è per rompere questo circolo vizioso che Damiano Rizzi - psicologo che opera sul suolo lombardo - ha inaugurato in Cisgiordania il Soleterre Children Center, uno spazio per curare i traumi psicologici dei più piccoli in un contesto in cui la guerra e la violenza sono all’ordine del giorno. Dal 7 ottobre 2023 a oggi, solo in questo territorio, sono stati feriti o uccisi oltre cinque bambini al giorno e chi è riuscito a sopravvivere si è dovuto confrontare con un dramma che li accompagnerà per la loro intera esistenza: la morte di un genitore, di un fratello, di un amico. Inoltre, secondo il report del “Mental Health & Psychological Support Network” un bambino su due soffre di disturbo da stress post traumatico e il 40% dei giovani pazienti sceglie la strada dell’isolamento o del mutismo selettivo. In un contesto segnato da bombardamenti e soprusi, Rizzi - attualmente fondatore e direttore del Soleterre Children Center - ha scelto di prendersi cura di un’emergenza invisibile: la salute mentale dei più piccoli. Per lo psicologo questo supporto sarà fondamentale per i prossimi anni perché i bambini di oggi saranno gli adulti del futuro.

Rizzi, cosa l’ha spinta a intraprendere questo progetto in Cisgiordania?

"La molla che mi ha fatto scattare è stata l’escalation scoppiata dopo il 7 ottobre 2023: mentre su Gaza piovevano bombe, in Cisgiordania i checkpoint venivano chiusi uno dopo l’altro. Questo ha prodotto una conseguenza drammatica per chi vive in questo territorio: curarsi è diventata una vera corsa a ostacoli. Inizialmente abbiamo cominciato a intervenire presso il Beit Jala, l’ultimo ospedale pubblico oncologico rimasto, per offrire supporto psicologico e medicinali. Noi, semplici civili, possiamo cambiare il corso della Storia: basta crederci".

Si riflette molto sui segni che i conflitti lasciano sul corpo dei più giovani mentre i traumi psicologici sono ancora fortemente ignorati: come mai?

"Perché la mente non sanguina. E perché in contesti di guerra la psicologia è percepita come un lusso. Ma senza affrontare i traumi, per quei bambini la guerra non termina mai. La loro crescita si ferma e la mente si irrigidisce per la paura".

Quali sono i danni psicologici che ha riscontrato nei bambini della Cisgiordania?

"I sintomi sono diversi: insonnia, mutismo selettivo e incubi. La ferita peggiore è quella invisibile: la perdita della spensieratezza. Un giovane che ha visto crollare la propria casa o morire i propri genitori smette di credere che, per lui, un futuro sia possibile".

Quali attività svolgete all’interno del centro Soleterre?

"Svolgiamo terapie individuali, ma anche gruppi terapeutici per bambini e genitori. Inoltre, formiamo il personale locale, lo aiutiamo a capire come gestire il trauma. Ma soprattutto, il Soleterre è uno spazio protetto dove i bambini possono tornare a disegnare, parlare, giocare e raccontarsi. In un contesto che disumanizza, giocare è già un gesto terapeutico".

Le chiedo di essere i nostri occhi per qualche istante: cosa l’ha turbata maggiormente da quando è arrivato in Cisgiordania?

"La Cisgiordania è un territorio interamente occupato militarmente da Israele, con oltre 700 checkpoint che possono chiudersi da un momento all’altro. Qui, le famiglie restano bloccate in casa, i medici non ricevono uno stipendio o lo percepiscono decurtato. Gaza dista appena due ore, ma non possiamo aiutare i bambini di quel territorio. Quello che mi sconvolge di più è il silenzio del mondo di fronte a un’ingiustizia che ormai ha assunto i tratti della normalità. Ogni giorno, però, mi colpisce la forza disperata delle famiglie che continuano a cercare cure anche quando tutto è contro di loro".

In un territorio in cui Israele ha un grande controllo, quali ostacoli siete stati costretti ad affrontare?

"Gli impedimenti non sono solo pratici, ma esistenziali. Bisogna affrontare ogni giorno un sistema militare che decide se puoi muoverti, curarti e vivere. E qui curarsi non è un diritto, ma un’eccezione. Ma è evidente che il diritto alla salute, in questi territori, esiste solo se qualcuno lo difende attivamente, altrimenti rischia di dissolversi, come sta accadendo per tutto il resto".